la voce a Sud

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cronaca

Nord e Sud sono due Paesi diversi, e il Sud sta tre volte peggio

È come la poesia del pollo di Trilussa. C’è un’Italia che ne mangia due, anzi tre, e un’altra che rimane a digiuno. Se al pollo sostituiamo i posti di lavoro, il piatto è servito. E i dati pubblicati dall’Istat, che chiudono il 2017, non possono essere più chiari: il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno (19,4%) è tre volte quello del Nord (6,9%) e circa il doppio di quello del Centro (10%). E mentre mezza Italia, nella parte alta delle mappe Istat, è sull’orlo dell’uscita dalla crisi, con livelli di occupazione tornati vicini a quelli del 2008 (66,7% al Nord e 62,8% nel Centro), il Sud resta nella palude, ancora indietro di due punti (44%) rispetto alle percentuali del 2008. Anzi, in alcune aree del Paese la crisi si può considerare del tutto superata. Aree che, senza neanche dirlo, sono tutte concentrate al Nord: le Province Autonome di Bolzano e Trento, il Friuli-Venezia Giulia e la Lombardia.

Il divario occupazionale tra Nord e Sud è di oltre 20 punti, come quello che esiste tra Grecia e Germania. O tra Turchia e Norvegia. Al Sud il malessere è come moltiplicato per tre: non solo la disoccupazione è tre volte tanto quella del Nord, anche il rischio di cadere in povertà è triplo rispetto al resto del Paese. Una forbice che spiega anche – come già è stato detto – il voto diffuso per i Cinque stelle, contro quel Pd che guidava non solo il governo di Roma ma anche molte regioni del Sud. Il 4 marzo ha rappresentato un canale di sfogo di un malessere economico, sociale, lavorativo e sanitario sempre più diffuso.

Qui giù l’Europa di cui tutti parlano non si sente nemmeno. Il tasso di occupazione è ancora il più basso del continente, del 35% inferiore alla media Ue. E la narrazione fatta da Roma negli ulitmi anni, con tanto di tweet esultanti a ogni piccolo segno più, dal Pil al lavoro, ha raccontato un Paese che non era il Mezzogiorno. Perché i polli erano tutti al Nord, per tornare a Trilussa. In Calabria, Sicilia, Sardegna la disoccupazione giovanile sfiora anocra il 60 per cento. E poco interessava se Renzi andava in tv dicendo di aver creato un milione di posti di lavoro, quando i meridionali di fronte vedevano solo il deserto. Anzi, così è cresciuto il risentimento e il senso di abbandono. Dei laureati, dei giovani e dei giovanissimi, che al Pd hanno preferito Di Maio & Co. per vedere “se almeno loro fanno qualcosa di buono”.

Nonostante un timido aumento dell’occupazione (+0,8%), come certificato dall’Istat, il contesto sociale non migliora. La forbice tra il Pil pro capite a Nord e Sud si amplia. E dieci meridionali su cento risultano ancora in condizioni di povertà assoluta, contro i sei del Nord, concentrati soprattutto nelle periferie delle aree metropolitane.

 

È come la poesia del pollo di Trilussa. C’è un’Italia che ne mangia due, anzi tre, e un’altra che rimane a digiuno. Se al pollo sostituiamo i posti di lavoro, il piatto è servito. E i dati pubblicati dall’Istat, che chiudono il 2017, non possono essere più chiari: il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno (19,4%) è tre volte quello del Nord (6,9%) e circa il doppio di quello del Centro (10%). E mentre mezza Italia, nella parte alta delle mappe Istat, è sull’orlo dell’uscita dalla crisi, con livelli di occupazione tornati vicini a quelli del 2008 (66,7% al Nord e 62,8% nel Centro), il Sud resta nella palude, ancora indietro di due punti (44%) rispetto alle percentuali del 2008. Anzi, in alcune aree del Paese la crisi si può considerare del tutto superata. Aree che, senza neanche dirlo, sono tutte concentrate al Nord: le Province Autonome di Bolzano e Trento, il Friuli-Venezia Giulia e la Lombardia.

Il divario occupazionale tra Nord e Sud è di oltre 20 punti, come quello che esiste tra Grecia e Germania. O tra Turchia e Norvegia. Al Sud il malessere è come moltiplicato per tre: non solo la disoccupazione è tre volte tanto quella del Nord, anche il rischio di cadere in povertà è triplo rispetto al resto del Paese. Una forbice che spiega anche – come già è stato detto – il voto diffuso per i Cinque stelle, contro quel Pd che guidava non solo il governo di Roma ma anche molte regioni del Sud. Il 4 marzo ha rappresentato un canale di sfogo di un malessere economico, sociale, lavorativo e sanitario sempre più diffuso.

Qui giù l’Europa di cui tutti parlano non si sente nemmeno. Il tasso di occupazione è ancora il più basso del continente, del 35% inferiore alla media Ue. E la narrazione fatta da Roma negli ulitmi anni, con tanto di tweet esultanti a ogni piccolo segno più, dal Pil al lavoro, ha raccontato un Paese che non era il Mezzogiorno. Perché i polli erano tutti al Nord, per tornare a Trilussa. In Calabria, Sicilia, Sardegna la disoccupazione giovanile sfiora anocra il 60 per cento. E poco interessava se Renzi andava in tv dicendo di aver creato un milione di posti di lavoro, quando i meridionali di fronte vedevano solo il deserto. Anzi, così è cresciuto il risentimento e il senso di abbandono. Dei laureati, dei giovani e dei giovanissimi, che al Pd hanno preferito Di Maio & Co. per vedere “se almeno loro fanno qualcosa di buono”.

Nonostante un timido aumento dell’occupazione (+0,8%), come certificato dall’Istat, il contesto sociale non migliora. La forbice tra il Pil pro capite a Nord e Sud si amplia. E dieci meridionali su cento risultano ancora in condizioni di povertà assoluta, contro i sei del Nord, concentrati soprattutto nelle periferie delle aree metropolitane.

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