la voce a Sud

blog d'informazione online – attualità, cronaca, notizie, cultura, storia, gastronomia, spettacoli, informazioni, aggiornamenti ed eventi dal territorio

cronaca

AVANZATA ISTANZA DI INCOSTITUZIONALITA’ NORME OMICIDIO STRADALE

In un processo penale pendente innanzi al Gup presso il Tribunale di Brindisi, xxxxxxxxxxx, è stata proposta questione di costituzionalità degli artt. 589 ter e 594 quater.

A proporla sono stati gli avvocati Serena Lucia Missere e Raffaele Missere difensori di imputato accusato di omicidio stradale.

Qui di seguito riportiamo per intero l’istanza avanzata.

 

ON.LE TRIBUNALE DI BRINDISI

Sezione del Giudice della Udienza Preliminare

 

Ill.mo Signor Giudice per le Indagini Preliminari

Dott.ssa xxxxxxxx

 

 

Questione di incostituzionalità nel processo penale xxxxxxxx e n. xxxxxx R.G. GIP a carico di xxxxxxxxxxxxxxxxx difeso dagli avvocati Raffaele Missere e Serena Lucia Missere.

 

 

Con il presente atto, i sottoscritti difensori del Signor xxxxxxxxx, Avvocato Raffaele MISSERE e Serena Lucia MISSERE, eccepiscono formalmente la incostituzionalità dell’articolo 589 bis, 589 ter, 590 bis, 590 ter e 590 quater non prevedendo dette norme la possibilità di bilanciamento tra aggravanti e circostanze attenuanti e/o adeguamento della pena in conseguenza di quanta responsabilità sia da imputarsi al conducente in presenza di accertate concause o corresponsabilità.

Nel caso che ci occupa, l’imputato è stato tratto a giudizio per il delitto di omicidio stradale per così come è formulata l’accusa sub capo A).

A fronte di tanto, e senza voler rinunciare a dimostrare e provare la insussistenza delle aggravanti contestate, vi è che:

  • la vittima circolava conducendo un velocipede privo di qualsiasi apparato di illuminazione, senza giubbino catarifrangente e con addosso sostanze stupefacenti;

  • illuminazione pubblica non funzionante;

  • gravissimo dissesto del fondo stradale accertato non solo dai consulenti ma utilizzato da PM per iscrivere a notizia di reato i rappresentanti legali dell’ente gestore del tratto viario e il capo dello Ufficio tecnico del Comune di Torre Santa Susanna

e ultimo non ultimo che:

  • la lesione mortale è derivata dall’impatto con la ringhiera di ferro che delimita la zona parcheggio di Eurospin.

L’accertamento di una o più di queste circostanze in fatto, come concause del sinistro, comporterebbe l’applicazione, in misura da valutare della circostanza attenuante prevista dalla articolo 589 bis comma 7, con conseguente diminuzione della pena .

Tale diminuente, tuttavia, potrebbe operare solo sulla quantità di pena determinata ai sensi delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 589 bis, poiché l’articolo 590 quater c.p. impedisce il bilanciamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti per il reato di omicidio stradale.

Nel caso che ci occupa sono state contestate le aggravanti del limite di velocità, dello essersi messo alla guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e la fuga.

In caso di condanna, qualora il Giudice dovesse riconoscere sia la diminuente del concorso di colpa sia una o più delle circostanze aggravate contestate, dovrebbero essere applicati prima gli aumenti di pena previsti per le aggravanti e, solo dopo la diminuzione della pena, stante il divieto di bilanciamento delle circostanze. Conseguentemente, all’imputato non potrebbe che essere irrogata una sanzione da determinarsi all’interno di una cornice edittale imposta dalla norma, fatto e conseguenza sicuramente incostituzionale in relazione agli articoli 3 e 27 della Costituzione.

La questione di incostituzionalità sollevata è sicuramente fondata.

Riteniamo di dover condividere la qui di seguito riportata parte motiva di un provvedimento di rimessione alla Corte Costituzionale del GIP presso il Tribunale di Roma.

 

Con l’articolo 1 ,comma 2 della legge 23 marzo 2016 n.41 il legislatore ha introdotto nel codice penale l’articolo 590 quater, che disciplina il computo delle circostanze. La norma in questione introduce per i reati di cui agli articoli 589 bis e 589 ter 590 bis e 590 ter una deroga alla disciplina generale prevista dagli articoli 63 e seguenti del codice penale. In virtù di tale nuova disposizione è previsto il divieto di equivalenza o di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze aggravanti di cui agli articoli 589 bis secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, 589 ter e 590 bis secondo, terzo, quarto, quinto, sesto comma e 590 ter.

In caso di concorrenza di una o più delle predette circostanze aggravanti e di circostanze attenuanti, le diminuzioni conseguenti al riconoscimento delle attenuanti si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti. E’ stato in questo modo esteso ai delitti di omicidio stradale e lesioni stradali il meccanismo di limitazione della discrezionalità del giudice penale nella valutazione degli aumenti e diminuzioni di pena già introdotto nel nostro sistema penale in diverse occasioni negli ultimi anni. Il legislatore ha, in particolare, previsto il divieto di bilanciamento delle circostanze per la prima volta con la modifica operata dalla legge 5 dicembre del 2005 n. 251 all’art. 69, comma quarto del codice penale, introducendo un limite al principio generale del giudizio di bilanciamento nel caso di recidiva reiterata (art. 99, quarto comma codice penale). La Corte costituzionale si è espressa sulla legittimità in via generale di tale divieto, stabilendo che le deroghe al bilanciamento possono essere ritenute costituzionalmente legittime, purché’ non «trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012). Un importante criterio ermeneutico è stato offerto, sullo stesso tema, da altra pronuncia della Corte con la sentenza n. 251 del 2012, ove si legge che le deroghe al bilanciamento delle circostanze non sono legittime se determinano «un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilità penale». In più occasioni, la Corte ha ravvisato in concreto il superamento di questi limiti, dichiarando incostituzionale il divieto di bilanciamento delle circostanze in relazione: a) all’art. 73, comma 5 del testo unico n. 309/1990 (sentenza n. 251 del 2012); b) all’art. 648, secondo comma del codice penale (sentenza 105 del 2014); c) all’art. 609-bis, terzo comma del codice penale (sentenza 74 del 2016). Nella prima delle tre sentenze menzionate, la Corte ha fatto discendere il giudizio di illegittimità costituzionale dalla sproporzione delle sanzioni discendente dalla mancata possibilità di bilanciare le circostanze rispetto alle pene applicabili laddove tale divieto non vi fosse stato.

Ha in particolare evidenziato che nel caso di recidiva reiterata equivalente all’attenuante il massimo edittale previsto dal quinto comma dell’art. 73 del testo unico sugli stupefacenti per il fatto di «lieve entità» (sei anni di reclusione) corrispondeva al minimo della pena da irrogare per la corrispondente ipotesi prevista per il reato-base (l’art. 73, primo comma del testo unico n. 309/1990 prevede infatti come noto la pena da sei a venti anni di reclusione). Dunque il minimo della pena detentiva previsto per il fatto di «lieve entità» (un anno di reclusione) ne risultava moltiplicato per sei nei confronti del recidivo reiterato, che subiva così di fatto un aumento incomparabilmente superiore a quello specificamente previsto dall’art. 99, quarto comma codice penale per la recidiva reiterata, che, a seconda dei casi, è della metà o di due terzi. Proprio in questo aumento, sproporzionato rispetto all’ipotesi base è stata ravvisata l’illegittimità costituzionale della norma. Un procedimento logico analogo è stato seguito in occasione del secondo intervento (avvenuto con la già menzionata sentenza n. 105 del 2014), laddove la Corte ha rilevato che per effetto della recidiva reiterata il minimo della pena detentiva previsto per il fatto di particolare tenuità della ricettazione (15 giorni di reclusione) veniva moltiplicato per 48 volte, determinando un aumento incomparabilmente superiore a quello specificamente previsto per tale recidiva dall’art. 99, quarto comma, codice penale, che, come detto, è della metà o di due terzi. Pur tenendo conto delle differenze tra la disciplina dell’art. 69, quarto comma e quella dell’art. 590-quater del codice penale, si può applicare il medesimo ragionamento seguito dalla Corte costituzionale in queste due ipotesi (il ragionamento seguito dalla terza delle sentenze citate, la n. 74 del 2016, segue un percorso logico diverso) anche all’ipotesi speciale di divieto di bilanciamento delle circostanze che qui interessa. Come si è visto in precedenza, le circostanze aggravanti contestate sono due: guida in stato di ebbrezza e pluralità di eventi mortali e/o lesivi; a fronte di tali aggravanti viene potenzialmente in gioco – oltre alla concessione delle circostanze attenuanti generiche previste dall’art. 62-bis codice penale – la diminuente speciale prevista dal comma settimo dello stesso art. 589-bis del codice penale. L’art. 589-bis, settimo comma prevede che «qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà».

Il legislatore ritiene che la pena dell’autore della condotta che ha provocato l’evento morte debba essere assoggettata ad una pena diminuita, avendo altro conducente (sia egli il soggetto rimasto ucciso o un terzo) contribuito casualmente alla commissione dell’evento, perché a sua colpevole di violazione di norme generiche o specifiche. Si tratta di una diminuente ad effetto speciale che può essere applicata in tutti i casi – che statisticamente si riscontrano nella maggior parte dei sinistri stradali – in cui entrambi i soggetti coinvolti abbiano violato norme generali o speciali e siano dunque «in colpa», anche se in misura sensibilmente differente tra di loro. Nel caso di concorso di colpa, dunque, la pena è diminuita fino alla metà», proprio per consentire al giudice di adeguare la sanzione al grado effettivo di colpa dell’imputato rispetto al fatto contestato. Conseguentemente, la pena prevista dall’art. 589-bis, primo comma (da 2 a 7 anni) diventa punibile con una pena minima di un anno, quella del secondo comma (8-12 anni) con una pena minima di 4 anni e quella del quarto comma (5-10 anni) con una pena minima di due anni e sei mesi. Ma operando anche l’aumento delle circostanze aggravanti, tale diminuzione non potrà avere effetto se non partendo dalla fattispecie aggravata, stante il divieto di bilanciamento delle circostanze. Conseguentemente, il riconoscimento da parte del giudice della circostanza aggravante prevista dall’art. 589-bis, secondo comma comporta una pena edittale minima di otto anni di reclusione, diminuita ai sensi dell’art. 589-bis, settimo comma in caso di riconoscimento di concorso di colpa a quattro anni di reclusione. Laddove, invece, non operasse tale divieto e si potesse procedere al bilanciamento delle circostanze secondo la regola generale prevista dall’art. 69, secondo comma, in caso di prevalenza della circostanza attenuante prevista dall’art. 589, settimo comma codice penale, il Giudice dovrebbe operare la diminuzione «fino alla metà» sulla pena prevista per il delitto-base dall’art. 589-bis, primo comma codice penale e dunque dal minimo edittale di due anni di reclusione si scenderebbe ad un anno di reclusione. Per effetto della norma in discussione (590-quater), dunque, l’imputato subisce un aumento della cornice edittale pari al quadruplo, senza contare l’eventuale ulteriore aumento di pena per l’altra aggravante contestata (pluralità di eventi lesivi), che può comportare un ulteriore aumento di pena «fino al triplo», dunque, in ipotesi, dagli otto anni si passerebbe ad un minimo edittale di ventiquattro anni, da diminuire per effetto dell’attenuante a dodici anni di reclusione come pena minima, pari al sestuplo della pena minima applicabile se non esistesse il divieto di bilanciamento delle circostanze che si assume illegittimo. I predetti aumenti appaiono irragionevoli ed arbitrari, e violano il criterio di proporzione tra le fattispecie previste dalla norma penale in esame. Sottrarre al Giudice la possibilità di valutare nel caso concreto la prevalenza della diminuente rispetto alle aggravanti potrebbe comportare, infatti, un aumento sproporzionato di pena anche nel caso di percentuale minima di colpa dell’imputato. Si pensi al caso in cui un soggetto, che si è messo alla guida in stato di ebbrezza, sia coinvolto in un incidente stradale dall’esito mortale e che all’esito del processo si accerti un grado di colpa pari all’1% in capo all’imputato (poiché per il restante 99% la colpa è dell’altro conducente rimasto ucciso nel sinistro): in un caso siffatto, ad una percentuale minima di colpa corrisponderà una conseguenza del tutto sproporzionata (4 anni di pena minima), non potendo in alcun modo essere valutata la circostanza che la colpa sia minima come prevalente sulla circostanza aggravante dello stato di ubriachezza. In sostanza, la pena da irrogare subisce un aumento esorbitante ed inevitabile solo per effetto dello stato di ebbrezza (nel nostro caso l’aggravante dell’aver guidato sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e del superamento del limite di velocità) e non in relazione al contributo causale dato dall’evento: in tal modo, il legislatore mostra di dare allo stato di ebbrezza un valore che prescinde del tutto dall’effettiva incidenza di tale stato nella causazione della morte della vittima del sinistro. Chi si pone alla guida del mezzo in stato di ebbrezza si espone al rischio di eventi a cui può anche contribuire in maniera pressoché irrilevante e ne risponde penalmente: è palese lo sconfinamento in una sorta di responsabilità oggettiva che è del tutto avulsa dai parametri costituzionali. Tale profilo di irragionevolezza sembra diretta conseguenza del fatto che la norma dell’art. 590-quater del codice penale è l’unica in cui sia previsto il divieto di bilanciamento di circostanze per delitti colposi. A ciò va aggiunto che il legislatore sembra conferire eccessiva considerazione all’integrazione dell’aggravante dello stato di ebbrezza, senza tenere conto che: a) nel nostro ordinamento la guida in stato di ebbrezza costituisce titolo di reato autonomo ed è punita a titolo contravvenzionale (art. 186 del codice della strada); b) si tratta di circostanza che riguarda la persona del colpevole e non il fatto, tanto che, come si è visto, non sempre assume valore causale nella determinazione dell’evento. Al Giudice è dunque imposto di assegnare valore comunque prevalente ad una circostanza ritenuta di non rilevante allarme sociale da altra norma e potenzialmente avulsa dal fatto rispetto alle circostanze (attenuanti) anche se queste hanno diretta connessione con il fatto per cui si procede e che hanno contribuito all’evoluzione causale che ha determinato l’evento. Tale limitazione della discrezionalità del giudice nella valutazione del fatto appare arbitraria ed irragionevole, ed in netto contrasto con i principi costituzionali richiamati in epigrafe. Ulteriore profilo di irragionevolezza della norma in esame discende dalla comparazione tra l’omicidio stradale e l’omicidio colposo previsto dall’art. 589 del codice penale. E’ noto che, fino all’emanazione della legge n. 41 del 2016, l’omicidio commesso con violazione delle regole del codice della strada era inserita come circostanza aggravante nel corpus dell’omicidio colposo. Ciò dimostra che non vi è alcuna sostanziale differenza tra l’ipotesi «speciale» di omicidio colposo oggi disciplinata dall’art. 589-bis e le altre forme di omicidio colposo rimaste ancorate al parametro dell’art. 589 del codice penale. Ed allora, non appare rispondente a criteri di equità che per un’ipotesi di omicidio colposo non stradale aggravato (si pensi ad alcune allarmanti ipotesi di colpa medica o agli infortuni sul lavoro) si possa, attraverso il bilanciamento delle circostanze, scendere ad una pena minima di sei mesi di reclusione mentre per l’omicidio stradale aggravato debba partirsi dal minimo edittale di quattro anni di reclusione. Anche sotto questo profilo pare innegabile la violazione dei parametri costituzionali invocati: contrasta infatti con i criteri di proporzione ed uguaglianza della pena che il medesimo evento di reato subisca nelle due ipotesi un trattamento sanzionatorio così diversificato. Ulteriori spunti in tal senso giungono da una recente sentenza della Corte costituzionale (la n. 236 del 2016) in tema di alterazione di stato (art. 567 del codice penale) che ha sancito una novità anche rispetto ad altre pronunce della stessa Corte. La questione era stata sollevata non in relazione ad un’illegittimità’ di trattamento sanzionatorio in comparazione con altre norme, ma di per se’. Si era infatti rilevato che la cornice edittale manifesterebbe la propria irragionevole severità nell’impedire di fatto al Giudice di tenere conto delle situazioni concrete in cui il soggetto agisce: da qui l’incostituzionalità della norma, perché’ tale circostanza «oltre ad imporre al giudice di irrogare sanzioni non proporzionate al reale disvalore della condotta, aggraverebbe nel reo, la percezione di subire una condotta ingiusta, svincolata dalla gravità della propria condotta, in frontale contrasto con il principio di necessaria finalizzazione rieducativa della pena». Secondo la sentenza in esame, dunque una pena eccessiva lede il principio di rieducazione della pena, qualora non sia proporzionata al reale disvalore della condotta punita, ed e’ in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. Ricorda infatti la Corte che l’art. 3 della Costituzione «esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali. E la tutela del principio di proporzionalità, nel campo del diritto penale, conduce a “negare legittimità alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalità statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all’individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla società sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest’ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni” (sentenze n. 341 del 1994 e n. 409 del 1989)». Nello stesso senso, l’art. 49, numero 3), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, e che ha ora lo stesso valore giuridico dei trattati, in forza dell’art. 6, comma 1, del Trattato sull’Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 – a tenore del quale «le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». Laddove dunque – sottolinea ancora la Corte – la proporzione tra sanzione e offesa difetti manifestamente, perché’ alla carica offensiva insita nella condotta descritta dalla fattispecie normativa il legislatore abbia fatto corrispondere conseguenze punitive di entità spropositata, non ne potrà che discendere una compromissione ab initio del processo rieducativo, processo al quale il reo tenderà a non prestare adesione, già solo per la percezione di subire una condanna profondamente ingiusta (sentenze n. 251 e n. 68 del 2012), del tutto svincolata dalla gravità della propria condotta e dal disvalore da essa espressa. In tale contesto, una particolare asprezza della risposta sanzionatoria determina perciò una violazione congiunta degli articoli 3 e 27 Cost., essendo lesi sia il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del fatto commesso, sia quello della finalità rieducativa della pena (sentenza n. 68 del 2012, che richiama le sentenze n. 341 del 1994 e n. 343 del 1993). La valutazione che qui si sollecita sulla illegittimità costituzionale della norma in esame dal punto di vista del contrasto tra i valori costituzionali richiamati ed una cornice edittale eccessivamente severa non implica, ovviamente, valutazioni discrezionali sulla dosimetria della pena che spettano in via esclusiva al Parlamento. Si intende, però, sollecitare l’intervento della Corte costituzionale, come già avvenuto in diverse occasioni in passato, affinché’ intervenga per ricondurre a coerenza le scelte gia’ delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all’eliminazione di ingiustificabili incongruenze. In tal senso, limitando il giudizio alla coerenza e la proporzionalità delle sanzioni rispettivamente attribuite dal legislatore a ciascuna delle due fattispecie di cui si compone il reato di omicidio stradale, appare possibile pervenire ad un giudizio di manifesta irragionevolezza per sproporzione della forbice edittale censurata, in quanto la fattispecie dell’omicidio stradale aggravato dallo stato di ebbrezza risulta punita in maniera sproporzionata rispetto alla fattispecie di omicidio stradale non aggravato prevista dal primo comma dell’art. 579 del codice penale. Il divieto di bilanciamento delle circostanze impedisce al Giudice di sanare tale sproporzione persino nei casi, sopra evidenziati, in cui minima è l’incidenza della condotta dell’imputato nella determinazione dell’evento. Conseguentemente, dovranno essere assoggettati a sanzione eccessiva, rispetto agli autori di omicidio stradale con colpa minima non aggravati dallo stato di ebbrezza, gli autori di eventi identici con identica percentuale (minima) di colpa solo perchè in stato di ebbrezza e persino se tale stato non abbia determinato l’evento: è evidente che una sanzione così congegnata non può che essere percepita come eccessiva da chi la subisce, ciò che può compromettere la finalità rieducativa della pena. Anche sotto questo profilo, dunque, la norma sul divieto di bilanciamento delle circostanze risulta in contrasto con le norme costituzionali”.

Altra questione fondata di incostituzionalità è quella afferente l’aumento di pena previsto dall’articolo 589 bis per l’eccesso di velocità in detta norma regolato.
Anche in questo caso si violano i principi di proporzionalità e ragionevolezza della pena. Anche in questo caso risultano violate le norme di cui agli articoli 3,25comma 2 e 27 della Costituzione.

Per questi motivi si

CHIEDE

che la Signoria Vostra Ill.ma, ritenendo fondata o comunque non manifestamente infondata la sollevata questione di incostituzionalità dell’articolo 590 quater e 589 bis codice penale in relazione agli articoli 3, 25comma 2 e 27 della Costituzione nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza e/o di equivalenza dell’attenuante speciale prevista dallo articolo 589bis comma 7 del codice penale e conseguentemente emettere idoneo provvedimento ordinando l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale in Roma, con ogni effetto sul presente procedimento.

Torre S. Susanna – Brindisi, lì 15.06.2018

 

Con Osservanza

 

Avv. Serena Lucia MISSERE Avv. Raffaele MISSERE

 

{source}
<script async src=”//pagead2.googlesyndication.com/pagead/js/adsbygoogle.js”></script>
<!– la voce top –>
<ins class=”adsbygoogle”
style=”display:block”
data-ad-client=”ca-pub-3187290804815201″
data-ad-slot=”3924681629″
data-ad-format=”auto”></ins>
<script>
(adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({});
</script>
<script async src=”//pagead2.googlesyndication.com/pagead/js/adsbygoogle.js”></script>
<ins class=”adsbygoogle”
style=”display:block”
data-ad-format=”autorelaxed”
data-ad-client=”ca-pub-3187290804815201″
data-ad-slot=”8080522823″></ins>
<script>
(adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({});
</script>
{/source}

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.