Ilva, «colline» da 5mln di tonnellate di rifiuti: indagate nove persone per disastro ambientale
fonte lagazzettadelmezzogiorno.it
Militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di finanza di Taranto hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso dal gip Vilma Gilli, di alcuni siti, gestiti dall’Ilva, ubicati al confine nord dello stabilimento, per una superficie complessiva pari a circa 530.000 metri quadrati, trasformati in discariche di rifiuti pericolosi. Sono nove le persone indagate per disastro ambientale. Le indagini hanno permesso di individuare oltre 5 milioni di tonnellate di rifiuti industriali pericolosi e non pericolosi.
L’attività investigativa eseguita dalle Fiamme Gialle ha consentito di individuare circa 5 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi e non pericolosi di origine industriale, in cumuli dell’altezza di oltre 30 metri sopra il piano campagna.
Nel procedimento penale risultano indagate 9 persone, tra responsabili amministrativi e tecnici pro-tempore dell’Ilva Spa dal 1995 al 2012, a vario titolo, per i reati di disastro ambientale doloso, distruzione e deturpamento di risorse naturali, danneggiamento, getto pericoloso di cose e mancata bonifica dei siti inquinanti.
Gli indagati avrebbero gestito le aree in questione senza metterle in sicurezza, «evidenziando – secondo la Guardia di Finanza – una precisa volontà di porre in essere un disegno illecito volto a trarre un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente in un risparmio degli oneri economici occorrenti per la loro bonifica»
Ci sono anche i componenti della famiglia Riva tra gli indagati nell’inchiesta che ha portato all’esecuzione di un decreto di sequestro preventivo di alcuni siti, gestiti dall’Ilva, ubicati al confine nord dello stabilimento, per una superficie complessiva pari a circa 530mila metri quadrati, che sarebbero stati trasformati in discariche di rifiuti pericolosi e non di origine industriale.
DISASTRO DOLOSO – C’è il disastro doloso tra i reati contestati agli indagati coinvolti nell’inchiesta della Guardia di finanza che ha portato al sequestro preventivo di alcuni siti dell’Ilva nell’agro dei comuni di Taranto e Statte, trasformati in discariche. Il periodo preso in esame parte dal 1995. Sono 9 i destinatari del provvedimento di che ha valore di informazione di garanzia, ma gli indagati sarebbero una ventina.
Secondo l’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore Mariano Buccoliero, gli indagati ognuno per il proprio ruolo «non effettuando la dovuta ed obbligatoria attività di controllo e sorveglianza, nonché occultando il reale stato dei luoghi costituito da circa 5 milioni di tonnellate di cumuli di rifiuti pericolosi e non pericolosi di origine industriale situati su tutto l’argine sinistro della Gravina Leucaspide sino al limite del confine con l’azienda agricola di proprietà della famiglia De Filippis, consentivano l’utilizzo e comunque mantenevano, senza metterle in sicurezza, diverse discariche abusive a cielo aperto dei rifiuti di cui sopra per le quali non era istituita alcuna documentazione contabile ambientale anche ai fini della tracciabilità e garanzie finanziarie per la fase di post-gestione». In tal modo avrebbero determinato «la realizzazione ed il mantenimento di grandi depositi costituiti dai suddetti rifiuti dall’altezza di oltre 30 metri sopra il piano campagna.
Tutte opere prive di copertura e rimedi contro lo spandimento di polveri pericolose per la salute, frane (dei depositi di cui sopra) e dispersione in falda del percolato». Così, secondo la contestazione degli inquirenti, «a seguito di ripetute e prevedibili frane dei cumuli di rifiuti che precipitavano nella Gravina, determinavano il mutamento della morfologia della stessa con l’occupazione del fondo di essa ad opera dei suddetti rifiuti (su terreno demaniale e privato), cagionando la deviazione del corso d’acqua ivi esistente. Cosi inquinando l’ambiente circostante e le acque pubbliche torrentizie che scorrevano nel letto della Gravina, acque che insieme a quelle meteoriche, dilavavano i predetti cumuli, trasportando gli stessi e le sostanze nocive contenute per tutta l’estensione della Gravina, depositandoli, in ultimo, anche nei terreni dei De Filippis, nonché nella falda sottostante». Infine, gli indagati non avrebbero proceduto «alla dovuta attività di bonifica, cagionando un grave disastro ambientale» e “alterando e distruggendo una zona di grande pregio paesaggistico e sottoposta alla relativa tutela».
PROBLEMI ANCHE PER LE ASSUNZIONI – Fim, Fiom, Uilm e Usb di Taranto hanno inviato una lettera all’amministratore delegato di Am InvestCo Italia, Jehl Matthieu, e per conoscenza al Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, segnalando «gravissime anomalie rispetto all’applicazione dei criteri di legge in ambito selettivo del personale». Il riferimento è all’individuazione dei lavoratori che dall’1 novembre passeranno alle dipendenze di ArcelorMittal (10.700 in tutti gli stabilimenti del gruppo, 8200 a Taranto) e degli esuberi – 2586 – che restano in capo all’amministrazione straordinaria e verranno collocati in cassa integrazione straordinaria a zero ore (solo 300 saranno utilizzati per le bonifiche). Alcune centinaia di lavoratori aderiranno all’esodo volontario con incentivo. Chi passa con ArcelorMittal dall’1 novembre al 31 dicembre sarà in forza al nuovo proprietario in regime di “distacco», mentre dall’1 gennaio 2019 sarà assunto a tutti gli effetti.
Proprio in relazione alle comunicazioni notificate ieri ai lavoratori, attraverso il portale MyIlva per gli assunti e tramite telegramma per gli esuberi collocati in cassa integrazione, per i sindacati si “registrano molteplici incongruenze palesi sui criteri della professionalità, anzianità e carichi familiari, per effetto dei quali non vi è più ombra di dubbio come la selezione per centinaia dei distacchi sia stata operata attraverso criteri unilaterali da parte dell’azienda, di fatto al di fuori di quanto previsto dall’accordo».
Le organizzazioni sindacali «chiedono l’assoluto rispetto dell’accordo e il non discrimine dei lavoratori, altresì l’immediato confronto in sede aziendale a chiarimento delle centinaia di anomalie riscontrate. Fermo restando la possibilità eventuale di ricorsi collettivi ed individuali nelle sedi previste e ai sensi delle tutele attese dagli strumenti di legge, Fim, Fiom, Uilm e Usb annunciano in mancanza di risposte esaustive, forme di protesta presso la sede del Ministero dello Sviluppo Economico, in cui chiederemo al Garante dell’accordo nella persona del Ministro Luigi Di Maio, l’assoluto rispetto dell’accordo e delle leggi vigenti».