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A villa Pamphilj si sono scordati i disabili

Fonte: espresso.repubblica.it

Distanziamento fisico, distanziamento sociale, lockdown, quel che è stata un’esperienza unica di limitazione di libertà mai vista, per molti altri è una costante: le persone con disabilità, la più grande minoranza sociale a livello mondiale.

Secondo l’Istat il 5,2 per cento degli italiani ha una qualche forma di disabilità: 3,1 milioni di persone che solitamente vivono con problemi di indipendenza e che, per mancanza di norme e politiche adeguate, spesso si trovano costrette a un lockdown permanente in casa perché la mancanza di accortezze architettoniche aggrava la loro disabilità. In Italia la metà delle persone con gravi limitazioni – 1,5 milioni – ha più di 75 anni e il 60 per cento è composto da donne. La differenza tra generi caratterizza tutte le fasce d’età, ma aumenta vertiginosamente oltre i 65 anni perché le donne vivono più a lungo. Se aggiungiamo anche chi dichiara di avere limitazioni non gravi, il numero di persone con disabilità in Italia sale a 12,8 milioni – il 21,3 per cento della popolazione – anche qui la maggioranza sono donne.

Eppure, malgrado questi numeri, le misure ipotizzate dai vari piani di “rilancio” discussi in questi giorni non sembrano essere all’altezza del “niente sarà più come prima”. Fra i tanti bonus finora previsti non c’è niente che potremmo chiamare un superbonus per la libertà. Nonostante i Piani di eliminazione delle barriere architettoniche siano previsti per legge, le amministrazioni pubbliche li mettono sempre in secondo piano. Solo nel 2018 sono state destinate risorse al fondo ad hoc delle Regioni che era stato svuotato per lustri. Sul piano privato, case e condomini raramente tengono conto di certe necessità. È quindi urgente dare priorità di attenzione e risorse a chi oggi non vede riconosciuta la propria libertà di movimento a causa di interventi condominiali che potrebbero essere soddisfatti con cifre irrisorie. Si renderebbero moderni decine di migliaia di edifici restituendo la libertà a chi da tempo non l’ha più.

Le barriere architettoniche interessano naturalmente anche la sfera pubblica: strade, marciapiedi, ponti, fermate dell’autobus e della metropolitana, stazioni, porti, aeroporti fino alle spiagge demaniali libere e in concessione. Per abbattere questi ostacoli e far riconoscere i diritti negati, l’Associazione Luca Coscioni ha portato in tribunale decine di amministrazioni locali ed enti per consentire la fruizione di servizi di trasporto pubblici locali, l’accesso al mare, la visione di spettacoli dal vivo, l’accessibilità digitale della pubblica amministrazione e quella fisica degli spazi pubblici, con scivoli e strumenti percettivi e sensoriali. I tribunali di ogni parte d’Italia hanno condannato con ordinanze che hanno imposto l’esecuzione delle opere non realizzate, riconoscendo inoltre significativi risarcimenti nei confronti delle persone che hanno subito negligenze o inerzie amministrative.

La piena libertà e partecipazione nella vita civile, sociale ed economica delle persone con disabilità incontra, infine, ostacoli anche nella sfera politica. Per firmare referendum, liste elettorali, proposte di legge di iniziativa popolare una persona con disabilità si scontra col dover uscire di casa per recarsi a firmare di fronte a un pubblico ufficiale. È possibile firmare online iniziative dei cittadini europei che propongono temi per la Commissione europea, ma non si può firmare una delibera comunale. La firma digitale non è utilizzabile in vari ambiti, eppure abbiamo la posta elettronica certificata e un’identità digitale per operazioni finanziarie. Perché non ampliarne l’uso anche a questioni civico-politiche? Sarebbe una conquista per i cittadini con disabilità, ma a ben vedere per chiunque.

Il presidente Conte ha avocato a sé le politiche sulla disabilità, nel momento in cui si ricercano risorse e priorità per il futuro, è giunto il momento di investire anche nella vita indipendente di milioni di persone.