la voce a Sud

blog d'informazione online – attualità, cronaca, notizie, cultura, storia, gastronomia, spettacoli, informazioni, aggiornamenti ed eventi dal territorio

notizie

«Riaprire l’ospedale di Mesagne? Ottimo ma sarebbe inutile farlo diventare un piccolo Perrino»

Fonte: senzacolonnenews.it

Se l’ospedale di Mesagne riaprisse, nessuno sarebbe più contento di me, ma non bisogna lasciarsi prendere da facili entusiasmi. L’obiettivo di alleggerire il Perrino deve essere raggiunto puntando su un paio di specializzazioni d’eccellenza, non aprendo una copia dell’ospedale di Brindisi. Non siamo più negli anni Cinquanta, occorre focalizzarsi su competenze altamente specifiche. Se ha un po’ di tempo, le spiego per bene come la penso”: benché raggiunto per telefono praticamente ad ora di pranzo, lo stimatissimo dottor Renato Efisio Poddi, già primario del reparto di Ginecologia ed Ostetricia dell’ospedale San Camillo de Lellis di Mesagne prima e poi del Perrino di Brindisi, non si sottrae alle domande e con grande disponibilità espone la sua posizione riguardo alla proposta di riapertura del nosocomio della città messapica.
Tornato prepotentemente alla ribalta delle cronache in quanto utilizzato come presidio Covid-19 post acuzie (così come stabilito dalla Regione Puglia nel piano operativo del 24 marzo), il San Camillo, da presidio ospedaliero di eccellenza negli anni d’oro in cui era considerato punto di riferimento per l’intera provincia (e oltre), è attualmente declassato a presidio territoriale di assistenza. Per iniziativa di un gruppo di medici, infermieri, ricercatori e cittadini socialmente impegnati, riunitisi nel “Comitato per la riattivazione del Presidio Ospedaliero San Camillo De Lellis di Mesagne”, il cui referente è Alessandro Distante, professore di Cardiologia presso l’università di Pisa, fondatore e presidente dell’ISBEM (Istituto Biomedico Euro Mediterraneo), è stata lanciata una petizione popolare indirizzata all’attenzione del Presidente del consiglio regionale, dottor Mario Cosimo Loizzo. Tra la raccolta firme cartacea tenutasi domenica 28 giugno presso la villa comunale di Mesagne e la possibilità di firmare online sul sito www.petizioni.com, la proposta ha già raccolto più di 1.400 adesioni, tra le quali spiccano quelle dei rappresentanti istituzionali del territorio mesagnese: il sindaco Toni Matarrelli, il consigliere regionale Mauro Vizzino, il deputato 5 Stelle Gianluca Aresta.
Da colonna portante del San Camillo de Lellis, quale lei è stato, sta seguendo sicuramente con interesse la vicenda che riguarda la richiesta di riapertura dell’ospedale di Mesagne. Qual è la sua posizione in merito?
“La ringrazio per avermi definito “colonna portante”, ma la forza della Ginecologia del San Camillo era nel saper fare gruppo: medici, ostetriche e infermiere lavoravano avendo come obiettivo il benessere della paziente. Con la chiusura del reparto di Ginecologia, quella forza umana, nonché il patrimonio di strumentazione e professionalità che avevamo costruito in tre decenni, si disperse. Per tornare alla sua domanda, credo che, innanzi tutto, sia necessario comprendere le ragioni che hanno portato a quel piano di riordino ospedaliero in seguito al quale è stata disposta la chiusura o, meglio, la riconversione, dell’ospedale di Mesagne e di altri in tutta la regione. Se deliberatamente si intende sorvolare su quelle ragioni, allora la richiesta non ha particolare senso e difficilmente potrà essere accolta”.
Quali sono le ragioni?
“Sono di due tipi. Una è strettamente sanitaria ed ha a che vedere con il garantire ai pazienti di avere in un solo luogo tutto quello che occorre alla cura di una determinata patologia, salvaguardando l’eccellenza. L’altra ragione è finanziaria e attiene al risparmio di denaro, perché è chiaro che tenere aperto un unico polo di riferimento costa meno che tenerne aperti tre o quattro. Da noi si è puntato a valorizzare il Perrino, lasciando il resto, ben poco, agli ospedali della provincia. Nello stesso tempo, però, l’ospedale di Brindisi avrebbe dovuto sopperire ai posti soppressi di Mesagne, San Pietro, recentemente anche Ostuni e Fasano. In realtà il Perrino non è stato in grado di rispondere alla domanda di salute dei cittadini e mano a mano le cose sono peggiorate. L’intento era buono, ma purtroppo non si è realizzato. Anzi, adesso siamo in una situazione nella quale l’ospedale di Brindisi non ha la possibilità di gestire le varie eccellenze che i cittadini giustamente rivendicano, perché è diventato un ospedale generico. Ecco perché è assolutamente necessario che gli altri ospedali siano potenziati, creando in quei contesti delle altissime specializzazioni. Se si ragionasse così, verrebbero preservate, senza che ne risenta la qualità, le ragioni che hanno portato al piano di riordino”.
Insomma, riaprire va bene, purché dietro ci siano un progetto realizzabile che punti sulla specializzazione e una visione di lungo periodo che non miri a replicare un modello che aveva senso in un contesto temporale e scientifico diverso.
“Esattamente, proprio così. Riaprire un ospedale con dei reparti che siano dei doppioni dei reparti già esistenti al Perrino sarebbe un impensabile passo indietro rispetto ad un modello sanitario che punta quanto più possibile sulla specializzazione e sulla specificità. Riapriamo Mesagne? Bene, affidiamo a Mesagne due eccellenze e lasciamo che si occupi soltanto di quelle, senza ambulatori medici vari che possono restare tranquillamente altrove. Penso, ad esempio, ad un centro immunologico che possa fare anche sperimentazione e ricerca, ad un osservatorio per malattie reumatologiche, ad un polo di chirurgia vascolare dove convogliare tutti i casi della provincia. Vogliamo fare le cataratte? Cataratte soltanto a Mesagne, con la garanzia massima ai cittadini che in loco troveranno tutto quello che occorre per l’intervento, senza dover ricorrere ad un altro presidio in caso di complicazioni o di aggravamento della situazione. Vogliamo fare chirurgia ortopedica degli arti inferiori? Allora anca, ginocchio, caviglia e piede devono essere operati a Mesagne, il resto delle patologie ortopediche a Francavilla, a Brindisi, a San Pietro e via dicendo. Quei posti letto recuperati, potrebbero essere utilizzati per potenziare gli altri reparti negli altri nosocomi. Senza specializzazione non andiamo da nessuna parte. Questa visione della sanità si rispecchia anche nella costruzione dei nuovi ospedali: non esistono più i grandi edifici che contengono tutto, oggi l’ospedale è concepito per padiglioni, proprio per assicurare specializzazione e sicurezza. Se si agisse così, si darebbe al polo ospedaliero una precisa caratterizzazione in grado anche di decongestionare il pronto soccorso del Perrino: se io so che l’ortopedia della gamba è trattata a Mesagne, andrò direttamente a Mesagne. Lì mi sarà assicurata la diagnosi, la terapia, la cura e la riabilitazione. Soltanto se ragioniamo in questi termini, abbiamo una possibilità di successo. E guardi che la mancanza di specialità sarà il primo argomento che i politici opporranno alla richiesta contenuta nella petizione, perché verrebbero meno le garanzie di eccellenza a cui hanno diritto i cittadini e che sono alla base del piano ospedaliero che ha disposto la chiusura di alcuni reparti in alcuni casi e la riconversione di alcuni ospedali in altri casi”.
Che aveva di particolare l’ospedale di Mesagne da attirare pazienti da tutta la provincia di Brindisi?
“Non soltanto dalla provincia di Brindisi. Era diventato un punto di riferimento anche per le provincie di Lecce e Taranto e in qualche occasione abbiamo ricoverato anche pazienti provenienti dal barese, che venivano affidati agli specialisti di Mesagne dal fior fiore dei professori universitari di Bari. C’era un livello di eccellenza insuperabile: per farsi visitare dal professor Calò o dal professor Perrucci venivano da tutta la Puglia”.
Anche di un certo dottor Poddi si è sentito parlare piuttosto bene…
“La ringrazio. Ho avuto una carriera di cui sono fiero e che non considero ancora conclusa. Anche se ho smesso di occuparmi di ostetricia, il mio lavoro di ginecologo continua con l’attività professionale privata. Amo leggere le pubblicazioni scientifiche, aggiornarmi, conoscere nuove tecniche e nuove cure. Sono sempre stato un curioso e un avido di sapere, forse è stata questa la mia fortuna”.
Il reparto di Ginecologia e Ostetricia, da lei diretto dopo il pensionamento del professor Perrucci, era, insieme a quello di Chirurgia generale del professor Mino Calò, il vanto della città: la Puglia è piena di nati a Mesagne che non Mesagne non hanno alcun legame.
“Sono stati tempi gloriosi. In quel reparto ci ho trascorso il periodo più lungo della mia vita professionale, prima da soldato, ai comandi del mio maestro, il professor Perrucci, e poi da generale, diventando il secondo primario della Ginecologia di Mesagne. Avevamo 70 posti letto, ma non bastavano mai. Ricoveravamo le pazienti nei corridoi, in sala parto c’erano sempre più donne contemporaneamente. Ricordo con simpatia che mi è capitato più di una volta di far salire sulla mia macchina pazienti in pieno travaglio per accompagnarle a Brindisi e affidarle all’ostetrica di turno, perché da noi non avevamo lo spazio per farle partorire. Quando fu dismessa la Ginecologia di Mesagne, la vicenda non fu gestita nel migliore dei modi. Una mattina ritrovai al Perrino, dov’ero primario, tutti i colleghi di Mesagne, insieme ad ostetriche e infermiere. Quando chiesi cosa ci facessero lì, mi risposero che gli era stato ordinato di prendere servizio a Brindisi perché a Mesagne il reparto era stato chiuso. Io non ero stato nemmeno avvertito della tempistica così stretta. Abbiamo dovuto riorganizzare il lavoro dalla sera alla mattina, dovendo far fronte anche al numero esorbitante di pazienti che, essendo seguite da ginecologi che lavoravano al San Camillo, adesso trovavano i loro medici al Perrino”.
Secondo lei in che modo la pandemia da Covid-19 ha cambiato la medicina e come si dovrebbe riorganizzare il sistema sanitario per garantire efficienza?
La medicina era già cambiata rispetto ai tempi del mio primariato. La contrazione dei posti letto ha chiaramente fatto diminuire la qualità del sistema sanitario nazionale. Siamo passati da un sistema in cui venivano ricoverati tutti coloro che si presentavano in pronto soccorso, a volte anche soltanto per effettuare esami strumentali, ad un sistema in cui vengono trattate a livello ospedaliero soltanto le acuzie, lasciando la responsabilità delle cronicità ad una medicina territoriale non sufficientemente supportata. Se questo problema – bene o male – in circostanze normali si riesce a gestire, diventa insostenibile nel momento in cui ci cade addosso una tegola pesante come la pandemia. Per cui io direi che sicuramente vanno aumentati i posti letto, altrimenti rischiamo che si verifichino le tragedie che sono accadute in Lombardia, dove si è dovuto scegliere chi ricoverare e chi no e, soprattutto, chi trattare e chi no. E poi bisogna dare alla medicina territoriale gli strumenti di monitoraggio dei pazienti cronici, mettendo i medici di base e gli altri specialisti nella condizione di lavorare serenamente senza ingolfare i pronto soccorso”.
Al di là dei progressi scientifici, a livello di approccio medico-paziente, com’è cambiata la ginecologia negli ultimi anni e com’è cambiato il ginecologo?
“Molte cose sono cambiate, e non soltanto in ginecologia. Intanto perché adesso il paziente che entra in uno studio medico pretende di sapere già tutto e nell’ottica di alcuni la funzione del medico sarebbe esclusivamente quella di confermare l’autodiagnosi già effettuata leggendo in rete e ascoltando la televisione. Per quello che riguarda nello specifico la ginecologia, si va sempre più verso la divisione delle competenze, che io condivido, tra ostetrici e ginecologi. Credo che all’inizio del percorso di specializzazione sia necessario fare una scelta, così come avviene per esempio in Francia, in Germania, negli Stati Uniti. E spero di vivere abbastanza da vedere anche che, all’interno della ginecologia stessa, vi siano ulteriori specializzazioni, soprattutto dal punto di vista chirurgico. Ad esempio: se esistono diverse vie per intervenire (addominale/laparotomica, vaginale, laparoscopica, isteroscopica), è ragionevole pensare che ogni professionista si concentri soltanto su una di esse per potere offrire ad ogni paziente il massimo della prestazione medica. Ai miei tempi il ginecologo faceva partorire, operava le patologie benigne e quelle maligne, curava la paziente con problematica ginecologica a 360°. Ma la scienza è andata avanti e ad ognuno di noi è richiesto un livello di perizia che può essere assicurato soltanto attraverso l’applicazione sistematica a poche patologie. Vede? Il concetto è sempre lo stesso: specializzazione ed eccellenza”.
Ci racconta della sua attività di volontario?
“È un aspetto della mia vita professionale a cui tengo molto. Faccio parte della Federspev, Federazione Sanitari Pensionati e Vedove, che si occupa di volontariato in ambito medico, per offrire assistenza a persone che non possono permettersi visite specialistiche ed esami strumentali e che, stante la lunghezza delle liste d’attesa del servizio sanitario nazionale, rischierebbero di non ricevere cure tempestive. Collaboriamo con l’Aisa, che offre assistenza volontaria infermieristica, oltre che con la Croce Rossa, e siamo ospitati in alcuni ambulatori dell’ospedale Di Summa di Brindisi”.
Chissà se li ha mai contati, ma lei ha fatto nascere qualche migliaio di bambini. Un professionista che ha messo al mondo così tanti bimbi, come vive la crisi della natalità di questi anni?
“Malissimo, sia dal punto di vista umano che da quello professionale. Prima di tutto perché significa che non c’è più fiducia nel futuro e poi perché questo aspetto, a livello medico, comporterà la scomparsa della figura dell’ostetrico, che sarà sempre più inutile”.