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La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 24 e 25 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313: vediamo in che modo

Fonte: diritto.it

(Riferimenti normativi: d.P.R., 14/11/2002, artt. 24 e 25)

I fatti e le questioni prospettate nelle ordinanze di rimessione

Con ordinanza del 19 aprile 2019, iscritta al n. 111 del r.o. 2019, la Corte di cassazione, sezione prima penale, sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 24 e 25 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di casellario giudiziale europeo, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti (Testo A)» (da ora in poi: t.u. casellario giudiziale), nella parte in cui «non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato non siano riportate le iscrizioni della sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 186 cod. strada che sia stato dichiarato estinto ex art. 186, comma 9-bis, cod. strada per positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità».

La Sezione rimettente era chiamata a pronunciarsi sul ricorso di una condannata avverso il provvedimento con cui il Tribunale ordinario di Bologna, giudice del casellario ex art. 40 t.u. casellario giudiziale, aveva rigettato la sua istanza di cancellazione dai certificati generale e penale del casellario della sentenza pronunciata nei suoi confronti per il reato di guida sotto l’influenza dell’alcool di cui all’art. 186 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), successivamente dichiarato estinto all’esito dello svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, ai sensi del comma 9-bis dello stesso articolo.

In punto di rilevanza delle questioni, la Sezione rimettente chiariva innanzitutto come l’iscrizione della sentenza di condanna per il reato in questione, assieme alla successiva ordinanza dichiarativa dell’estinzione del reato ex art. 186, comma 9-bis, cod. strada, sia imposta dall’art. 3 t.u. casellario giudiziale; detta iscrizione non compare nell’elencazione dei provvedimenti esclusi, ai sensi degli artt. 24 e 25 dello stesso testo unico, dalle certificazioni rilasciate a richiesta dell’interessato. Trattandosi di una regola eccezionale rispetto al generale obbligo di riportare nei certificati tutti i provvedimenti iscritti nel casellario, quell’elencazione, per il giudice rimettente, è da ritenersi tassativa dovendosi conseguentemente escludere la praticabilità dell’interpretazione analogica sollecitata dalla ricorrente.

Il giudice a quo precisava, poi, che le modifiche apportate dal decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 122 (Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 18 e 19, della legge 23 giugno 2017, n. 103), peraltro efficaci solo a partire dall’ottobre 2019 e come tali non applicabili al caso di specie, non hanno innovato in nulla il trattamento da riservare ai provvedimenti in questione, quanto alla loro iscrizione e successiva menzione nel certificato del casellario.

In punto di non manifesta infondatezza delle questioni, la Sezione rimettente lamentava, in primo luogo, la disparità di trattamento – rilevante ai sensi dell’art. 3 Cost. – tra i soggetti che beneficiano dei provvedimenti relativi all’art. 186 cod. strada, quando il reato sia stato dichiarato estinto per positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, e «coloro che – aderendo o non opponendosi ad altri procedimenti, come il patteggiamento o il decreto penale di condanna […] – beneficiano già oggi della non menzione dei relativi provvedimenti nei certificati richiesti dai privati» trattandosi, infatti, di provvedimenti tutti caratterizzati da una comune finalità deflattiva, con correlativi risvolti premiali per l’imputato.

Ciò posto, con riguardo al patteggiamento, si osservava come la Corte costituzionale avrebbe già avuto modo di inquadrare il beneficio della non menzione come un incentivo finalizzato a indurre «l’imputato a pervenire sollecitamente alla definizione del processo» (era citata la sentenza di questa Corte n. 223 del 1994) dal momento che la declaratoria di estinzione del reato, prevista dall’art. 186, comma 9-bis, cod. strada, consegue al compimento di una serie di condotte in favore della collettività, nell’ottica della risocializzazione dell’autore del reato, risulterebbe irragionevole escludere dal beneficio della non menzione tale categoria di provvedimenti, quando lo stesso beneficio è, invece, riconosciuto ex lege a chi si limiti a concordare l’applicazione di una pena in forza di un provvedimento sotto più aspetti equiparato a una sentenza di condanna.

Ancora, veniva evidenziato come l’irragionevolezza dell’esclusione del beneficio della non menzione dei provvedimenti di cui all’art. 186, comma 9-bis, cod. strada, emergerebbe ulteriormente dalla non menzione, nei certificati del casellario, delle condanne per le quali sia stata pronunciata riabilitazione (artt. 24, comma 1, lettera d, e 25, comma 1, lettera d, t.u. casellario giudiziale), posto che per i citati provvedimenti la riabilitazione è per definizione esclusa, essendosi il reato estinto.

Ulteriore dubbio di violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irragionevole disparità di trattamento, veniva prospettato dalla Sezione rimettente in riferimento alla previsione da parte degli artt. 24, comma 1, lettera b), e 25, comma 1, lettera b), t.u. casellario giudiziale della non menzione delle condanne per reati estinti a norma dell’art. 167, primo comma, del codice penale in seguito al decorso del termine di osservazione biennale (per le contravvenzioni) e quinquennale (per i delitti) che consegue alla sospensione condizionale della pena.

Ad avviso del giudice a quo, difatti, sarebbe ingiustificato il trattamento deteriore di chi abbia ottenuto l’estinzione del reato per aver positivamente svolto il lavoro sostitutivo rispetto a chi, avendo ottenuto la sospensione condizionale della pena, si limiti ad attendere il decorso del tempo necessario a determinare l’estinzione del reato.

Non manifestamente infondato appariva alla Sezione rimettente anche il dubbio di compatibilità delle disposizioni censurate con l’art. 27, terzo comma, Cost.

Il giudice a quo ricordava, a tal proposito, la sentenza n. 231 del 2018 con cui la Consulta aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto di odierna censura, nel testo anteriore alle modifiche recate dal citato d.lgs. n. 122 del 2018, nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato non siano riportate le iscrizioni dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato ai sensi dell’art. 464-quater del codice di procedura penale e della successiva sentenza che dichiara l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 464-septies cod. proc. pen.

Dal momento che l’istituto della messa alla prova condividerebbe con la declaratoria di estinzione di cui all’art. 186, comma 9-bis, cod. strada la base consensuale del procedimento e del trattamento che ne consegue, nonché il necessario inquadramento nel «finalismo rieducativo che l’art. 27, terzo comma, Cost. ascrive all’intero sistema sanzionatorio penale», il giudice a quo riteneva quindi che le ragioni poste dalla sentenza n. 231 del 2018 a fondamento della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’esclusione del beneficio della non menzione delle sentenze dichiarative dell’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova debbano valere anche per il caso di estinzione del reato di cui all’art. 186 cod. strada posto che, una volta dichiarata l’estinzione del reato a seguito della prestazione del lavoro di pubblica utilità con finalità di emenda e risocializzazione, per il giudice rimettente, non si giustificherebbe più «lo strascico pregiudizievole rappresentato dalla menzione del reato estinto nei certificati rilasciati dal casellario, allo stesso modo dell’esito positivo della prova ammessa ai sensi dell’art. 464-quater del codice di rito».

In tale prospettiva, la menzione dei provvedimenti di cui all’art. 186, comma 9-bis, cod. strada risulterebbe disfunzionale all’obiettivo costituzionalmente imposto della rieducazione del reo dal momento che tale menzione è «suscettibile di risolversi in un ostacolo al reinserimento sociale del soggetto che abbia ottenuto, e poi concluso con successo, lo svolgimento del lavoro sostitutivo, creandogli […] più che prevedibili difficoltà nell’accesso a nuove opportunità lavorative, senza che ciò possa ritenersi giustificato da ragioni plausibili di tutela di controinteressi costituzionalmente rilevanti» e, a tale ultimo proposito, la Sezione rimettente rilevava «che l’esigenza di garantire che la declaratoria di estinzione di cui all’art. 186, comma 9-bis, cod. strada non sia concessa più di una volta (ultimo periodo della disposizione dianzi citata) è già adeguatamente soddisfatta dall’obbligo di iscrizione dei menzionati provvedimenti e della loro indicazione nel certificato “ad uso del giudice” (rispettivamente artt. 3, comma 1, lettera a), e 21, comma 1, del T.U. casellario giudiziale)».

Con ordinanza del 10 settembre 2018, iscritta al n. 137 del r.o. 2019, il Tribunale ordinario di Napoli, a sua volta, sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dei medesimi artt. 24 e 25 t.u. casellario giudiziale, «nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale del casellario giudiziale e nel certificato penale chiesti dall’interessato non sia riportata l’ordinanza che dichiara l’estinzione del reato» ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada.

La Consulta evidenziava a tal proposito come il rimettente fosse chiamato a giudicare di un’istanza di cancellazione dai certificati generale e penale del casellario richiesti dall’interessato della sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 186, comma 2, lettera c), cod. strada, poi dichiarato estinto a seguito del positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, ai sensi del comma 9-bis del medesimo articolo.

Le questioni, per il giudice a quo, sarebbero state rilevanti posto che il giudice rimettente sarebbe «chiamato ad esercitare una effettiva ed attuale potestas decidendi proprio in relazione alle norme sospettate di incostituzionalità venendo le stesse in rilievo nell’ambito del procedimento di esecuzione instaurato dal[l’istante] per ottenere la cancellazione dell’iscrizione ritenuta […] pregiudizievole» così come d’altra parte, stante la tassatività della elencazione contenuta nelle norme tacciate di incostituzionalità, non sarebbe possibile «addivenire ad una [loro] interpretazione conforme, a meno di non cedere ad una manipolazione additiva delle previsioni relative a casi analoghi espressamente contemplati fra le “eccezioni” previste dai due articoli».

Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente svolgeva argomentazioni in larga parte sovrapponibili a quelle più estesamente svolte nell’ordinanza della Corte di cassazione già enunciate in precedenza.

In riferimento al dubbio di violazione dell’art. 3 Cost., il rimettente riteneva peraltro come l’irrazionalità delle disposizioni censurate emergesse non solo dal raffronto con il patteggiamento, con il decreto penale e la sospensione condizionale della pena, bensì anche dal raffronto con la disciplina relativa ai provvedimenti giudiziari che dichiarano la non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen..

Invero, anche per tali provvedimenti, le disposizioni in questione prevedono la non menzione nei certificati del casellario giudiziale a richiesta dell’interessato (artt. 24, comma 1, lettera f-bis, e 25, comma 1, lettera f-bis, t.u. casellario giudiziale).

Da ciò, per il giudice rimettente, ne sarebbe derivata l’irragionevole conseguenza per cui «[l]o stesso fatto per il quale l’imputato chieda ed ottenga la conversione della pena nel lavoro di pubblica utilità potrebbe […] essere considerato di particolare tenuità dal giudice all’esito del processo – o anche prima di esso, ex art. 469 comma 1-bis codice di procedura penale – con la conseguenza che non ve ne sarebbe traccia nel casellario».

Le argomentazioni sostenute dalle parti

In ordine al secondo giudizio succitato, si costituiva la parte privata la quale si era espressamente richiamata all’ordinanza della Corte di cassazione di cui al n. 111 del r.o. 2019 concludendo per l’accoglimento delle questioni.

La parte riferiva, in particolare, di essere stata inizialmente destinataria di decreto penale di condanna per il reato di cui all’art. 186, comma 2, lettera c), cod. strada e di essere stata poi condannata, in esito al rigetto della propria opposizione avverso il decreto, alla sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, poi positivamente svolto.

La parte osservava dunque che, se fosse rimasta acquiescente al decreto penale, del reato non sarebbe rimasta traccia sui propri certificati del casellario giudiziale a richiesta dell’interessato come invece era accaduto nonostante il positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte costituzionale

In via preliminare, veniva rilevato come le questioni sollevate dalla Corte di cassazione – seppur esplicitamente riferite alla mancata previsione della non menzione della sola sentenza di condanna al lavoro di pubblica utilità, una volta che sia dichiarato estinto il reato – si estendessero evidentemente anche al successivo provvedimento che dichiara l’estinzione del reato al quale faceva più volte riferimento la motivazione dell’ordinanza.

Specularmente, l’ordinanza del Tribunale ordinario di Napoli formulava le questioni con specifico riferimento al provvedimento che dichiarava estinto il reato in esito al positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità ma l’intera logica dell’ordinanza di rimessione appare rivolta a sollecitare alla Consulta un intervento additivo dal quale discenda la non menzione di entrambi i provvedimenti.

In ciascuno dei due giudizi a quibus – concernenti persone che erano state condannate allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, e che avevano successivamente ottenuto la declaratoria di estinzione del reato in seguito al suo positivo svolgimento – la domanda dei ricorrenti, per la Corte, non poteva d’altronde che mirare alla non menzione di entrambi i provvedimenti in parola dal momento che la menzione anche solo di uno di essi sarebbe stata comunque suscettibile di produrre i pregiudizi che i ricorrenti stessi mirano ad evitare.

Detto questo, il giudice delle leggi evidenziava come, sempre in via ancora preliminare, occorresse dare atto che, nelle more del presente giudizio, era entrato in vigore il decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 122 (Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 18 e 19, della legge 23 giugno 2017, n. 103) il cui art. 7 aveva stabilito che le disposizioni dell’intero decreto legislativo acquistassero efficacia un anno dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

In particolare, veniva fatto presente che, se per effetto delle modifiche apportate da tale decreto legislativo, il certificato generale, di cui al previgente art. 24 t.u. casellario giudiziale, e il certificato penale, di cui al previgente art. 25 t.u. casellario giudiziale, sono stati unificati in un solo «certificato del casellario giudiziale richiesto dall’interessato», regolato dall’art. 24 t.u. casellario giudiziale nel testo modificato dal d.lgs. n. 122 del 2018 e, conseguentemente, l’art. 25 t.u. casellario giudiziale, era stato abrogato, nonostante tali nova normativi, le questioni di legittimità costituzionale in esame, ad avviso dei giudici di legittimità costituzionale, conservavano la loro rilevanza nei giudizi a quibus dal momento che le richieste di cancellazione erano state formulate dai rispettivi ricorrenti nel vigore della normativa antecedente al d.lgs. n. 122 del 2018 fermo restando che le modifiche apportate all’art. 24 t.u. casellario giudiziale dal d.lgs. n. 122 del 2018 non aveva inciso sul punto oggetto delle censure dei rimettenti, ossia la mancata previsione della non menzione dei provvedimenti concernenti il lavoro di pubblica utilità disposto per le contravvenzioni di cui all’art. 186 cod. strada e la conseguente estinzione del reato, lasciando così inalterato – anche nella attualmente vigente – il vulnus lamentato dai rimettenti.

Le censure dei rimettenti, per la Consulta, dovevano pertanto essere riferite all’art. 24 t.u. casellario giudiziale – tanto nella versione precedente, quanto in quella successiva alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 122 del 2018 –, nonché al successivo art. 25, nel testo in vigore anteriormente alla sua abrogazione ad opera dello stesso d.lgs. n. 122 del 2018.

Precisato ciò, la Corte costituzionale riteneva come le questioni prospettate fossero fondate con riferimento ad entrambi i parametri evocati.

Si evidenziava a tal proposito prima di tutto che, la sentenza n. 231 del 2018, la Consulta aveva ritenuto lesiva dell’art. 3 Cost. l’omessa previsione della non menzione dei provvedimenti relativi alla messa alla prova nei certificati del casellario richiesti da privati, omissione che comportava «un trattamento deteriore dei soggetti che beneficiano di questi provvedimenti, orientati anche a una finalità deflattiva con correlativi risvolti premiali per l’imputato, rispetto a coloro che – aderendo o non opponendosi ad altri procedimenti, come il patteggiamento o il decreto penale di condanna, ispirati essi pure alla medesima finalità – beneficiano già oggi della non menzione dei relativi provvedimenti nei certificati richiesti da privati» rilevandosi al contempo come tali considerazioni valessero anche rispetto al lavoro di pubblica utilità, disposto quale sanzione sostitutiva per la contravvenzione di cui all’art. 186 cod. strada che – proprio come la messa alla prova – comporta per il condannato un percorso che implica lo svolgimento di un’attività in favore della collettività, e dunque esprime una meritevolezza maggiore – in caso di svolgimento positivo dell’attività – rispetto a quella espressa da chi si limiti a concordare la propria pena con il pubblico ministero, ovvero non si opponga al decreto penale di condanna, beneficiando per ciò stesso della non menzione nei certificati del casellario richiesti dai privati.

A fronte di ciò, si notava altresì come l’irragionevole disparità di trattamento fosse ulteriormente aggravata, come evidenziato nell’ordinanza della Corte di cassazione, dal fatto che, in questi casi, l’interessato non aveva nemmeno la possibilità di ottenere la non menzione per effetto della riabilitazione, che è per definizione esclusa nel momento in cui il reato sia estinto (per un analogo rilievo rispetto alla messa alla prova, si veda ancora la sentenza n. 231 del 2018).

Ciò posto, le questioni venivano reputate d’altronde fondate anche con riferimento all’art. 27, terzo comma, Cost. per le medesime ragioni già evidenziate dalla sentenza n. 231 del 2018 in relazione alla messa alla prova atteso che, una volta che il reato si sia estinto per effetto del positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, che testimonia il percorso rieducativo compiuto dal condannato, la menzione nei certificati del casellario, richiesti dall’interessato della vicenda processuale ormai definita, «contrasterebbe con la ratio della stessa dichiarazione di estinzione del reato, che comporta normalmente l’esclusione di ogni effetto pregiudizievole – anche in termini reputazionali – a carico di colui al quale il fatto di reato sia stato in precedenza ascritto» dato che la menzione della condanna per il reato ormai estinto finirebbe per creargli «più che prevedibili difficoltà nell’accesso a nuove opportunità lavorative, senza che ciò possa ritenersi giustificato da ragioni plausibili di tutela di controinteressi costituzionalmente rilevanti» (ancora, sentenza n. 231 del 2018); difatti, analogamente a quanto affermato per la messa alla prova, anche in questo caso, l’esigenza di garantire che la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità non sia concessa più di una volta (art. 186, comma 9-bis, ultimo periodo, cod. strada) e che in caso di recidiva nel biennio sia revocata la patente (art. 186, comma 2, lettera c, cod. strada) è già adeguatamente soddisfatta dall’obbligo di iscrizione dei provvedimenti in questione e della loro menzione nel certificato “ad uso del giudice”.

La Consulta, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 24 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di casellario giudiziale europeo, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti (Testo A)», nella parte in cui non prevede, tanto nella versione antecedente, quanto in quella successiva alle modifiche intervenute ad opera del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 122 (Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 18 e 19, della legge 23 giugno 2017, n. 103), che nel certificato del casellario giudiziale richiesto dall’interessato non siano riportate le iscrizioni della sentenza di condanna per uno dei reati di cui all’art. 186 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) che sia stato dichiarato estinto in seguito al positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, nonché dell’ordinanza che dichiara l’estinzione del reato medesimo ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada nonché l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 t.u. casellario giudiziale, nel testo in vigore anteriormente alla sua abrogazione ad opera del d.lgs. n. 122 del 2018, nella parte in cui non prevede che nel certificato penale del casellario giudiziale richiesto dall’interessato non siano riportate le iscrizioni della sentenza di condanna per uno dei reati di cui all’art. 186 cod. strada che sia stato dichiarato estinto in seguito al positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, nonché dell’ordinanza che dichiara l’estinzione del reato medesimo ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada.

Conclusioni

La decisione in questione è assai interessante nella parte in cui sono dichiarati costituzionalmente illegittimi gli articoli 24 e 25 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 ove non si stabilisce che, nel certificato penale del casellario giudiziale richiesto dall’interessato, non siano riportate le iscrizioni della sentenza di condanna per uno dei reati di cui all’art. 186 cod. strada che sia stato dichiarato estinto in seguito al positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, nonché dell’ordinanza che dichiara l’estinzione del reato medesimo ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada.

Dunque, per effetto di questo pronuncia, non deve risultare più nel casellario giudiziario la sentenza di condanna per uno dei reati di cui all’art. 186 cod. strada ove questi siano dichiarati estinti per esito positivo derivato dallo svolgimento del lavoro di pubblica utilità nonché ove venga emessa un’ordinanza con cui è dichiarata la loro estinzione ai sensi dell’art. 186, c. 9-bis, cod. strada che, come è noto, dispone quanto segue: “Al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo, la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze. Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale ovvero gli organi di cui all’articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. In deroga a quanto previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. In caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato. La decisione è ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l’esecuzione a meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il giudice che procede o il giudice dell’esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente e della misura di sicurezza della confisca. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta”.

Per effetto di questa pronuncia, di conseguenza, tale condanna non deve essere iscritta nel certificato penale del casellario giudiziale ove si verifichi una di queste condizioni.