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Omicidio Nestola, gli indagati “ossessionati” dalla figlia. La seguivano con un gps

Fonte: brindisireport.it

L’arresto di Michele Aportone, 70enne di San Donaci, è avvenuto oggi, venerdì 29 ottobre, ma gli occhi degli investigatori erano puntati da tempo su di lui. E sulla famiglia. Il contesto serve a spiegare come è maturato l’omicidio di Silvano Nestola, carabiniere in quiescenza ucciso con quattro colpi di fucile il 3 maggio scorso a Copertino, nel Leccese. In 30 pagine di ordinanza il gip del Tribunale di Lecce Sergio Tosi ricostruisce dinamiche familiari e mette in fila elementi utili alla svolta data dai carabinieri a queste indagini. Dalla lettura di rapporti burrascosi e tentativi di depistaggio – come la distruzione di un motorino da parte dell’indagato Aportone – emerge chiaro un rapporto familiare in cui la fiducia manca. Elisabetta Aportone aveva una relazione con Silvano Nestola, la vittima. Bene, i coniugi Aportone disapprovavano tutto ciò, non si fidavano di Elisebetta, tanto da installare sulla sua auto, di nascosto, un gps, per tracciare tutti i suoi spostamenti. Perché ritenevano Nestola causa del naufragare del matrimonio di Elisabetta. Ma le cose non stanno così.

MICHELE APORTONE-2

Un rapporto osteggiato

Silvano Nestola ha 45 anni ed è un uomo sentimentalmente libero, separato dalla moglie. Conosce Elisabetta Aportone, tra i due nasce una relazione. Burrascosa, ma non a causa di idiosincrasia, ma perché si frappone tra loro la madre di Elisabetta, Rossella Manieri, indagata ma a piede libero. La signora non si capacita della separazione della figlia e imputa questo al rapporto con Silvano. Tanto che la donna affronta il carabiniere in quiescenza diverse volte, anche a casa del militare. C’è una registrazione che prova il colloquio tirato tra i due, con Nestola che dice di voler troncare la relazione, proprio a causa delle interferenze materne. Ma Rossella Manieri non è l’unica, anche Michele Aportone (nella foto sopra) non vede di buon occhio il rapporto tra la figlia e il militare. Tanto che i coniugi acquistano un gps e lo installano di nascosto sull’auto della figlia, un’iniziativa “illecita e abnorme”, chiosa il gip Tosi. In un lasso di tempo di 35 giorni vengono registrati 1357 eventi telefonici da e verso la scheda sim inserita nell’apparecchio di geolocalizzazione. Chiamando il numero associato alla sim, si riceve un sms con le coordinate della posizione. Il livello di controllo è patologico, chiosa ancora il gip. L’arma del delitto non è stata ancora trovata.

La morte di Silvano Nestola

Nestola è un carabiniere in quiescenza, ma sempre un carabiniere, un investigatore. Capisce perfettamente che quella relazione con Elisabetta, a causa dei famigliari, potrebbe portare a qualche evento avverso. Lo intuisce, prova a troncare, ma non è facile. La sera del 3 maggio 2021 è a cena dalla sorella. Dopo il pasto conviviale, esce di casa con il figlio undicenne. Sente dei rumori, forse si accorge che qualcosa non va. Mentre si ode una detonazione, dice al figlio di correre dentro casa. In questo modo lo salva, ma non riesce a salvare se stesso. Quattro colpi di fucile calibro 12 vengono esplosi. Silvano Nestola muore a 45 anni. E’ una esecuzione. Ma le indagini degli investigatori si concentrano sulla vita privata. Vengono a sapere della relazione con Elisabetta Aportone. E’ là che bisogna concentrarsi. Anche perché il delitto perfetto non esiste. Il killer qualche errore lo ha fatto. Innanzitutto: non ha tenuto conto del coprifuoco da Covid e delle telecamere che inquadrano un ciclomotore. E’ l’unico veicolo che transita all’ora del delitto e nella zona. Poi, c’è un testimone oculare: il figlio di Nestola, che alla zia racconta subito di “una persona nera che stava accovacciata sotto al muretto sulla destra”. E poi ci sono, tra le altre cose, minuscole tracce di polvere da sparo che i carabinieri del Ris di Roma hanno trovato sugli indumenti sequestrati ad Aportone. Si tratta di abiti ritrovati, durante le indagini, in una sua autovettura.

Un delitto pianificato

Premeditazione e pianificazione. Dopo cinque mesi di indagini serrate – le indagini dei carabinieri sono state coordinate dai pubblici ministeri Alberto Santacatterina e Paola Guglielmi della Procura di Lecce – queste due parole si incrociano. Per gli investigatori chi ha posto fine brutalmente all’esistenza di Silvano Nestola è Michele Aportone, 70enne da San Donaci. Gli elementi esposti sopra portano verso di lui. Quel giorno avrebbe lasciato il cellulare nell’area camper che gestisce a pochi chilometri da Porto Cesareo. Il 70enne, alle 19,30 circa, avrebbe caricato uno scooter a bordo di un suo furgone (guarda il video), un Fiat Ducato, arrivando a Leverano. Qui, avrebbe parcheggiato il furgone nei pressi di una carrozzeria, per proseguire in scooter verso località Tarantini, appostarsi, sparare, e poi tornare indietro, caricare nuovamente il ciclomotore nel furgone e fare rientro nell’area camper alle 22,30 circa. C’è un’intercettazione, in cui si sente Aportone esclamare “scientificatemi ‘stu cazzu” dopo aver caricato in auto dei pezzi di uno scooter, poi bruciato. Con quella esclamazione – per il gip quasi una confessione – esprime la sicurezza di aver distrutto una prova. Non è servito a molto.