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cronaca

“Concausa della morte” i bulli rischiano 30 anni

Un rischio diventato probabile dopo la conclusione a cui è giunta la specialista Liliana Innamorata nella sua perizia depositata mercoledì scorso agli inquirenti che le avevano assegnato il compito di stabilire le cause di morte

fonte lavocedimanduria.it

La morte di Antonio Cosimo Stano, il 66enne manduriano preda delle baby gang, sarebbe stata «una concausa delle vessazioni di cui fu vittima». È il parere contenuto nella perizia autoptica eseguita dal medico legale della Procura che se sarà avvalorato e se passerà indenne dalle opposizioni delle parti in causa che hanno già annunciato battaglia, potrebbe costare trent’anni di carcere ai futuri imputati che rispondono di tortura. Il codice penale infatti prevede pene da sei a dieci anni di reclusione per il reato semplice che si eleva a trent’anni se dalla tortura ne deriva la morte.

Un rischio diventato probabile dopo la conclusione a cui è giunta la specialista Liliana Innamorata nella sua perizia depositata mercoledì scorso agli inquirenti che le avevano assegnato il compito di stabilire le cause di morte del sessantaseienne manduriano deceduto nell’ospedale di Manduria il 23 aprile scorso dopo che era stato ricoverato in gravi condizioni diciassette giorni prima. L’esito finale della relazione composta da 108 pagine non lascia dubbi a chi l’ha redatta. «La morte del signor Stano – scrive la Innamorato –, è da ascriversi ad arresto cardiocircolatorio irreversibile conseguente a shock settico post-peritonite da perforazione di ulcera peptica duodenale complicatasi con emorragia digestiva incoercibile con i trattamenti medici, chirurgici e angiografici». Entrando poi nello specifico, il medico legale offre la sua interpretazione al quesito più importante a cui gli inquirenti volevano che rispondesse. «Le azioni vessatorie di cui fu vittima Antonio Cosimo Stano – si legge -, possono essere concausa nella comparsa dell’ulcera duodenale di cui lo stesso fu vittima nonché abbiano potuto favorire, unitamente alla patologia psichiatrica cronica preesistente, un atteggiamento di paura e di chiusura di tipo negativo nei confronti dell’ambiente esterno, per il quale fu procrastinato il ricovero fino al momento della perforazione settica». Nell’ultima parte della perizia, poi, la dottoressa Innamorato risponde ad un quesito che non le era stato posto nell’incarico affidatole dalle due procure e che riguarda il comportamento dei medici ospedalieri. «Per quanto attiene i comportamenti dei sanitari che ebbero in cura il paziente – scrive -, non è stato possibile rilevare alcuna condotta difforme dalle buone pratiche mediche». Intanto ieri gli undici ragazzi, nove dei quali minorenni e tre che hanno raggiunto da poco la maggiore età, raggiunti dalle misure restrittive dell’altro ieri emesse dal gip Maria Pia Romano su richiesta delle due procure joniche, hanno tutti risposto alle domande dell’interrogatorio di garanzia. Tutti quanti hanno confermato sostanzialmente di aver preso parte alle scorribande senza rendersi conto della gravità e comunque nessuno di loro ha ammesso di aver usato atti di violenza fisica nei confronti della vittima, ma al limite di essere stato testimone. Alcuni minori hanno hanno affermato di essersi mantenuti a distanza proprio perché contrari a tali comportamenti. Per questo gli avvocati che li assistevano (il collegio era composto dai penalisti Franz Pesare, Nicola Marseglia, Daniele Capogrosso, Antonio Carbone, Davide Parlatano e Lorenzo Bullo), hanno chiesto di differenziare i reati contestati agli indagati ognuno coinvolti in episodi e circostanze differenti.

Più delicata era la posizione dei due maggiorenni già in carcere dal precedente blitz del 30 aprile scorso, il 19enne Gregorio Lamusta, difeso dagli avvocati Armando Pasanisi e Franz Pesare, e il 23enne Antonio Spadavecchia, assistito da Lorenzo Bullo e Gaetano Vitale. I due sono stati raggiunti l’altro ieri da una seconda ordinanza di custodia in carcere perché ritenuti responsabili dell’aggressione di un altro disabile, oggetto pure lui di continue vessazioni del branco. L’episodio avvenuto il primo aprile scorso, era stato auto registrato in un video che era stato poi fatto girare nella chat denominata «Ultima di carniali» della quale facevano parte gli indagati ed altri ragazzi. Nel video si vede un 53enne di Manduria con grave deficit cognitivo che viene deriso e insultato da un gruppo di ragazzi i quali lo costringono a scendere in strada dove viene aggredito da uno di loro. Nello scontro il disabile subirà la frattura di tre denti.

Secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori della polizia l’aggressore sarebbe stato Spadavecchia mentre Lamusta è accusato di concorso. Quest’ultimo ha raccontato al gip che quella sera lui ed altri tre amici tra cui il 23enne avevano mangiato una pizza e che una volta fuori aveva assistito all’aggressione dalla quale si era estraniato. Spadavecchia, da parte sua, ha ammesso di avere avuto un corpo a corpo con il disabile e che lo avrebbe fatto per difendersi da una sua aggressione ma senza procurare nessuna ferita come invece sostiene l’accusa.

Nazareno Dinoi

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