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Veglia contro il Ddl sull’omofobia, parla la sindaca: “Gesù insegna ad amare il prossimo”

Fonte: lavocedimanduria.it

Martedì scorso nella parrocchia di Lizzano si è tenuto il “Rosario per la famiglia”, una veglia religiosa per difendere proprio la famiglia “dalle insidie che la minacciano” e per “implorare il fallimento della legge contro l’omotransfobia” – il Disegno di legge «Zan» in attesa di discussione in Parlamento.

Il sindaco D’Oria interviene in difesa un gruppo di sostenitori dei diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (Lgbt) che si era radunato al di fuori della parrocchia in cerca di un dialogo con la comunità religiosa. Il video diventa virale e il caso nazionale.

Bene sindaco, ripercorriamo un attimo la vicenda

«In realtà martedì sera mi trovavo fuori Lizzano per il compleanno di mia figlia e volevo trascorrere la serata in maniera tranquilla. Poi mi arriva la chiamata di Francesca Cavallo (scrittrice ed attivista Lgbt ndr.) che mi dice che i carabinieri stanno prendendo le generalità. Inizialmente non sapevo di cosa stesse parlando, poi mi ha spiegato tutto ciò che accadeva e perché, invitandomi a recarmi sul posto».

Quindi è giunta lì in un secondo momento

«Si, appena arrivata lì ho visto questo gruppetto di persone (inizialmente mi avevano detto non più di tre o quattro) che avevano messo delle scritte sui gradini della chiesa con l’obiettivo di cercare un dialogo con i fedeli all’interno. Erano tutte ragazze molto giovani, alcune anche minorenni».

Ragazze che probabilmente avevano a cuore più degli altri la situazione

«Si, senza dubbio. E la considero una cosa molto positiva perché significa che si tratta di persone che sono uscite dal “guscio”. Sono pediatra e mi confronto spesso con le realtà relative alla “non accettazione di sé».

Secondo lei quanto incide la comunità su questa chiusura?

«In generale, il processo di accettazione di ognuno è importantissimo in questo senso e il contesto sociale gioca un ruolo fondamentale al pari di quello familiare. Ricordo di un ragazzo delle scuole medie che seguivo che mi chiedeva addirittura di andare a prenderlo all’uscita da scuola perché aveva il terrore di essere bullizzato. Per i ragazzi di quell’età si tratta di un problema vero».

Qual è il ruolo della Chiesa secondo lei in questo processo?

«Se in questo contesto difficile la Chiesa propone queste iniziative di preghiera contro una legge che – a mio parere – tutelerebbe e proteggerebbe queste persone (il ddl Zan contro l’omotransfobia ndr.), sicuramente non le aiuta. Poi non capisco il nesso tra tutto questo e la famiglia».

Qual è oggi il suo stato d’animo alla luce del peso mediatico che ha raggiunto questa storia?

«La cosa che mi ha impressionato di più sta nel fatto che ho agito in maniera totalmente naturale: queste persone (che ripeto all’inizio erano molto poche, ma che poi sono proliferate in un secondo momento) avevano tutto il diritto di stare lì in quanto cercavano un dialogo con coloro i quali stavano conducendo la preghiera all’interno. “Amare il prossimo” è la base della fede cristiana. E credo che i valori cristiani si riscontrino soprattutto quando il prossimo è in difficoltà e cerca un dialogo».

Ci racconta qual è la sua formazione?

«La mia formazione è cattolica ed ho sempre creduto negli insegnamenti di Gesù Cristo e in una Chiesa che ama il prossimo. Quindi non posso credere che la Chiesa abbandoni le persone in evidente difficoltà».

Come giudica la risposta della comunità di Lizzano?

«Io sono orgogliosa della risposta della comunità di Lizzano. La cosa che mi turba è l’aver messo sul piano politico una situazione relativa semplicemente ai diritti di una minoranza, che in questo caso chiedeva semplicemente un dialogo alla propria comunità religiosa».

L’iniziativa si chiamava “Rosario per la famiglia” convocata in parrocchia per “difenderla dalle insidie che la minacciano, tra cui il disegno di legge contro l’omotransfobia”, tra l’altro in attesa di discussione

«Credo ci sia stato un errore di comunicazione perché accostare il concetto di famiglia alla legge in questione (che ripeto tutela una minoranza che fa fatica anche a camminare per strada) non lo trovo corretto. Poi ad acuire questa situazione è stato l’intervento dei Carabinieri e l’ho trovato esagerato. Non era necessario. Se si fossero trovati già lì sarebbe stato diverso, ma sono stati chiamati apposta».

Gli attestati di stima nei suoi confronti sono stati trasversali

«Si ho ricevuto tanti messaggi da tutta Italia ed anche da alcuni colleghi sindaci locali come Domenico Vitto, il sindaco di Polignano ed Alfredo Longo, il sindaco di Maruggio».

Guardando il video divenuto virale che la riguarda, ho avuto l’impressione che sentisse una sorta di responsabilità che andava oltre il “dovere civico” di primo cittadino

«Si, ho agito come donna, come mamma e come pediatra, perché questa è una lotta che in studio conduco tutti i giorni. E mi batto affinché i diritti dei singoli cittadini vengano rispettati».

C’è qualcosa che direbbe ai suoi concittadini che invece erano in Chiesa impegnati in quella preghiera?

«Penso che non abbiano capito il “peso” di quella preghiera a causa della “semplificazione comunicativa”. Ho saputo poi che è stata organizzata anche da una ragazza che fa parte di un gruppo che sta manifestando contro il ddl Zan».

Quindi lei non ce l’ha con il parroco o con i Carabinieri

«Assolutamente no. Io sono intervenuta solamente perché mi sembrava una situazione paradossale».

C’è qualcosa che in questi giorni l’ha toccata in maniera particolare, considerato anche il peso mediatico che ha assunto la vicenda?

«Ho pensato al motivo per cui una cosa così naturale possa avere avuto un eco così ampia. Un numero incredibile di persone mi ha scritto per ringraziarmi per quello che avevo fatto e mi sono resa conto che un gesto – ripeto – assolutamente naturale in realtà probabilmente non lo era. Questo è stato pesante».

Immagino che questa storia l’abbia molto provata

«Mi ritengo una persona molto umile, sono sempre stata dalla parte degli ultimi. Ed è questo anche il mio modo di vivere il cattolicesimo. Tra le ragazzine che protestavano c’erano anche mie pazienti (minorenni) delle quali conoscevo le angosce e le sofferenze. Ho vissuto con loro la necessità di una identità diversa ed è una cose che mi ha segnato. Perché si vogliono negare i diritti a queste ragazze?»

Quindi lei ritiene che in un certo senso, si tratti problemi sottovalutati

«Si secondo me si. Non ritengo poi sia un problema circoscritto a Lizzano, ma credo invece che sia un problema che riguarda tutto il Paese».

Abbiamo già detto che lei è anche una madre. Come spiegherebbe ad un bambino quello che è successo?

«Io penso che se in un contesto familiare le parole chiave siano “amore” e “condivisione”, non ci sarebbe nemmeno bisogno di spiegarglielo. Ogni parola sarebbe totalmente superflua».

Gianpiero D’amicis

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