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Uccise i vicini dopo le liti per i parcheggi: difesa non appella sentenza, definitiva condanna all’ergastolo

Fonte: corrieresalentino.it

CURSI (Lecce) – È diventata definitiva la sentenza all’ergastolo ai danni di Roberto Pappadà, il 59enne di Cursi, responsabile della strage del 28 settembre del 2018 quando uccise i suoi vicini di casa Andrea Marti, il padre Francesco Marti e la zia Maria Assunta Marti dopo i continui litigi per il parcheggio della loro auto. La difesa (avvocato Nicola Leo) non ha impugnato la condanna in Appello dopo i 45 giorni decorsi dal deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado (gup Simona Panzera) e il carcere a vita è ormai definitivo. Pappadà è sempre detenuto nel carcere di Taranto con le accuse di triplice omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dalla premeditazione; tentato omicidio aggravato dalla premeditazione; detenzione e porto di arma da fuoco e ricettazione e trascorre la lunga detenzione con assoluto equilibrio e serenità. Il suo, poi, non è un ergastolo ostativo, ovvero di quelli che impedisce ai condannati per mafia e terrorismo di accedere ai vantaggi previsti dall’ordinamento penitenziario. Pappadà, a dieci anni dal suo arresto, potrebbe iniziare a beneficiare di qualche permesso premio e, se dovesse ottenere gli sconti per la buona condotta (45 giorni sottratti ogni 6 mesi di detenzione), potrebbe strappare fra 16 anni (e non 20) il beneficio della libertà vigilata. C’è ancora tempo, però.

Per Pappadà quella strage andava fatta. E, a distanza di quasi nove mesi, non ha alcun rimorso. Da sempre. Tanto che il gip Carlo Cazzella in un passaggio dell’ordinanza con cui applicò la custodia cautelare in carcere scriveva: “È convinto di aver fatto la cosa giusta e rammaricato di non avere eliminato Fernanda Quarta, tutti stati d’animo sintomatici di un’indole violenta priva di scrupoli e di qualsiasi rispetto della vita umana”. Pappadà si professava esasperato dai vicini. Esasperato perché avevano occupato il posto macchina davanti alla sua abitazione sprezzanti, a suo dire, della necessità di beneficiare del parcheggio libero per accudire la sorella disabile. Circa due anni prima, poi, si era verificato l’episodio che gli aveva fatto maturare la strage quando Andrea Marti gli aveva messo le mani al collo nel corso di una discussione nata proprio per un parcheggio.

Così quella sera attese il rientro di Andrea Marti in auto in compagnia della sua ragazza. Sparò un primo colpo ferendo il giovane impugnando una Smith Wesson. Subito dopo esplose un secondo alla testa facendo cadere per terra il giovane esanime. Nel contempo intimò alla fidanzata di Andrea di andare via risparmiando la donna perché nei suoi confronti non serbava motivi di risentimento. La donna si barricò in casa. Telefonò ai genitori del suo ragazzo che in breve rientrarono insieme agli zii della madre. Pappadà era sempre all’esterno. Appena i coniugi scesero dall’auto aprì il fuoco tre volte uccidendo Francesco Marti e Maria Assunta Marti. Ferì in maniera non grave anche Fernanda Quarta, madre del giovane Andrea. L’assassino venne bloccato dopo pochi minuti con un’indagine tanto rapida quanto incisiva condotta dai carabinieri di Maglie.

I militari sequestrarono l’arma non catalogata sprovvista di numeri e contrassegni e pertanto da considerarsi clandestina; la pistola a tamburo conteneva cinque cartucce inesplose mentre per strada vennero ritrovati cinque bossoli calibro 357 a conferma del fatto che Pappadà aveva sparato altrettanti colpi. Le indagini non hanno mai consentito di accertare chi abbia fornito l’assassino dell’arma. Lo stesso imputato non ha mai voluto collaborare su questo fronte. Ha solo ammesso di essersi procurato la pistola per ammazzare i vicini. Così come effettivamente accaduto.

Nel giudizio come parti civili comparivano i familiari delle vittime: Fernanda Quarta, madre di Andrea Marti; la sorella Carla Marti e la convivente Simona Marrocco della vittima, tutte assistite dall’avvocato Arcangelo Corvaglia Fabrizio Leo, marito di Maria Assunta Marti, con l’avvocato Marino Giausa. Il risarcimento del danno sarà quantificato in separata sede.

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