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cronaca

In ospedale con febbre alta viene rispedita a casa: torna e si aggrava, 40enne muore dopo 8 mesi di coma

Fonte: corrieresalentino.it

MONTERONI (Lecce) – Ha lottato con tutte le sue forze ma il suo cuore si è arreso nel primo pomeriggio in una clinica privata di Lecce dove era ricoverata da ormai otto mesi. Non ce l’ha fatta la donna di 40 anni, residente a Monteroni, vittima di un presunto caso di malasanità su cui, già da tempo, è stata aperta un’indagine. La vittima, a metà febbraio, si presentò in ospedale con febbre alta ma venne dimessa salvo poi ripresentarsi 48 ore dopo. Operata d’urgenza venne colta da un malore che la trascinò in uno stato comatoso dal quale non si è più risvegliata. Ora a carico dei dodici medici, in servizio tra il pronto soccorso e il reparto di urologia dell’ospedale “Vito Fazzi”, l’accusa inizialmente contestata verrà riqualificata in responsabilità colposa per morte in ambito sanitario. Già da tempo era stata conferita una consulenza dal pubblico ministero Paola Guglielmi al medico legale Roberto Vaglio, ad un infettivologo e ad un nefrologo del Policlinico di Bari  (affiancato dai colleghi delle parti) per stabilire se la paziente poteva essere salvata.Un’indagine avviata dopo la denuncia-querela sporta dal marito della giovane mamma assistito dall’avvocato Viola Messa in cui venivano ripercorse le tappe di questo vero e proprio dramma familiare. Temporalmente i fatti si collocano tra la metà e la fine di febbraio in un periodo, almeno in Salento, pre-emergenza pandemia. La donna lamenta un forte stato febbrile. Picchi altissimi di temperatura intervallati da discese fino anche a 35 gradi. E poi dolori su tutto il corpo. Proprio per lo stato repentino con cui si era manifestato un simile malessere la signora non aveva neppure interpellato il proprio medico curante. Di sabato, accompagnata dal marito, raggiunge il pronto soccorso dell’ospedale “Vito Fazzi”. Dopo una visita di routine viene rassicurata sulle sue condizioni di salute e le viene prescritta una cura farmacologica. Rientrata a casa contatta il proprio medico curante che le consiglia di ritornare in ospedale se le sue condizioni non fossero migliorate. Così come effettivamente avviene. Il lunedì successivo, 48 ore dopo, la signora si ripresenta in pronto soccorso sempre con gli stessi sintomi. Solo dopo oltre dieci ore viene visitata e sottoposta dalla dottoressa ad un’ecografia che rileva un’infezione alle vie urinarie e ai reni.

Non c’è più tempo da perdere. La signora finisce sotto i ferri per eliminare il pus che si era accumulato. Concluso l’intervento viene trasferita nel reparto di urologia. Subito dopo, però, accusa un malore che riesce a superare. Il venerdì successivo la situazione precipita. La giovane mamma, colta da un arresto cardiaco improvviso, viene trasferita in rianimazione. In coma irreversibile. Tenuta in vita solo dalle macchine. Per il marito e i suoi stretti familiari un fulmine a ciel sereno. In appena sei giorni si è consumato un dramma.

Troppo improvviso per non finire in una denuncia-querela in cui sono sollevati tanti interrogativi: come mai non è stata compresa la gravità della situazione in occasione del primo ricovero? Se fosse stata effettuata un’ecografia nell’immediato si sarebbe potuta prescrivere una terapia che avrebbe scongiurato un simile decorso? E poi perché la donna è rimasta per dieci ore in corsia prima di essere visitata? Doveva essere tutelata e trasferita in reparto da subito? Domande a cui saranno gli accertamenti a dare le giuste e necessarie risposte. Ora con un tragico epilogo e con una nuova accusa. A seguire gli sviluppi dell’indagine per conto dei medici, gli avvocati Massimo ManfredaFrancesco PalmieriLuigi Covella, Pantaleo Cannoletta e Marco Pezzuto.

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