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cronaca

Responsabilità penale d’équipe: occorre valutare la diligenza di ciascun componente

Ciascun medico componente dell’équipe medica deve sempre verificare che gli altri colleghi abbiano eseguito correttamente la propria opera.

E’ quanto ha affermato la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza del 18 maggio 2018, n. 22007.

 

Il caso vedeva più sanitari in servizio presso un nosocomio rispondere del decesso di una paziente sottoposta a taglio cesareo e successiva isterectomia, per avere colposamente omesso, pur in presenza di uno shock emorragico conseguente al parto cesareo con placenta accerta. Di trasfondere plasma fresco per correggere il difetto di coagulazione e per avere ritardato il ricovero della donna in ospedale dotato di reparto di rianimazione.

Diversi sono i punti su cui pone l’attenzione la Suprema Corte: in primo luogo, in merito all’assunzione della posizione di garanzia, è noto che la fonte da cui scaturisce l’obbligo giuridico protettivo può essere la legge, il contratto, la precedente attività svolta o altra fonte obbligante e che al fine di individuare lo specifico contenuto dell’obbligo come scaturente dalla determinata fonte di cui si tratta occorre valutare sia le finalità protettive fondanti la posizione di garanzia sia la natura dei beni di cui è titolare il soggetto garantito, che costituiscono l’obiettivo della tutela rafforzata, alla cui effettività mira la clausola di equivalenza di cui all’art. 40, secondo comma, c.p.(Cass. pen., Sez. Un., 24 febbraio 2014, n. 38343Cass. pen., Sez. IV, 27 gennaio 2015, n. 9855). 

In merito alla responsabilità d’équipe, con particolare riferimento al settore dell’intervento sanitario diacronico, gli ermellini evidenziano che, oltre alla cooperazione sincronica fra medici e medici e/o ausiliari che agiscono contestualmente per la cura di un paziente, i cui contributi si integrano a vicenda ed in un unico contesto temporale in vista del conseguimento del risultato sperato, la cooperazione terapeutica può dipanarsi anche in forma diacronica, ovvero attraverso atti medici successivi, affidati anche a sanitari dotati della medesima o di differenti specializzazioni. In questo secondo caso l’unitario percorso diagnostico o terapeutico si sviluppa attraverso una serie di attività tecnico-scientifiche di competenza di sanitari diversi, funzionalmente o temporalmente successive.

In entrambi i casi opera, comunque, il principio dell’affidamento quale limite in concreto all’obbligo di diligenza gravante su ogni titolare della posizione di garanzia, essendo opportuno che ogni compartecipe abbia la possibilità di concentrarsi sui compiti affidatigli, confidando sulla professionalità degli altri, della cui condotta colposa, poi, non può essere chiamato, almeno di norma, a rispondere.

In ogni caso non è possibile invocare il principio di affidamento, per violazione del dovere di controllo, nel caso in cui la condotta colposa del collega si concretizzi nella inosservanza di leges artis, che costituiscono il bagaglio professionale di ciascun medico, con la conseguente prevedibilità e rilevabilità dell’errore altrui anche da parte di un medico non specialista nel settore, in condizione, per tale motivo, di controllare la correttezza.

 

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