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Sarah Scazzi 10 anni dopo: i buchi neri del processo in un libro sulla ragazza di Avetrana

Fonte: fanpage.it

Un padre di famiglia che continua ad accusarsi di omicidio e molestie sessuali, un supertestimone che rinnega tutto, ma non viene creduto e manda in carcere due persone, un ‘fidanzato’ conteso tra due cugine. È lo scenario, quanto mai intricata, del delitto di Avetrana, terra stuprata dai media. A riportarci tra le dune del Salento, dieci anni dopo l’omicidio di Sarah Scazzi, sono le 320 pagine scritte da Flavia Piccinni, Carmine Gazzanni, autori, per Fandango, di Sarah.

Sarah dieci anni dopo, a pista fredda, come si dice. Cosa vi ha spinto a rispolverare il caso?

“I buchi evidenti nel processo, e il dubbio che due donne siano condannate all’ergastolo ben oltre ogni ragionevole dubbio. Cosima Serrano e Sabrina Misseri da dieci anni sono dietro le sbarre. Michele Misseri, che potrebbe venire a breve scarcerato, intanto continua a dirsi colpevole. Lo ha ribadito anche nella lunga confessione che ci ha affidato, in cui parla della sua vita raccontando dei dettagli che spezzano il cuore e soprattutto fanno molto riflettere”.

Com’è stato ritornare sui luoghi, ripercorrere la vicenda, stavolta da ‘investigatori’?

“Abbiamo trovato un paese fermo a dieci anni fa, che eufemisticamente potremmo dire non amare i giornalisti e la pubblicità. Avetrana, per quanto questo sia triste e i suoi validi abitanti cerchino con insistenza di cambiare profilo, resta per tutti il paese di Sarah Scazzi”.

Il delitto di Avetrana ha visto una doppia condanna in Cassazione, ma Sabrina e Cosima non hanno smesso di credere di poter ottenere la revisione del processo. Cosa ne pensate?

“Studiando i documenti senza alcun tipo di pregiudizio, facendo ricerche investigative sul campo, ci siamo resi conto di clamorosi buchi neri. E siamo stati costretti a domandarci se veramente Sabrina Misseri e Cosima Serrano siano state condannate oltre ogni ragionevole dubbio. Al lettore la possibilità di farsi un’opinione. Di certo c’è che la difesa di Sabrina, nella persona dell’avvocato Franco Coppi, ha fatto ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Il ricorso è stato accolto e dichiarato “ammissibile” e adesso l’Italia dovrà presentare una memoria. Speriamo adesso solo che i tempi non siano biblici prima della nuova e ultima sentenza su questo terribile caso.

Ivano Russo condannato nel processo bis per aver mentito. Ma non solo lui, sembra che in questa vicenda siano stati in molti a mentire. Possono emergere ancora delle verità?

La questione di Ivano Russo è piuttosto complicata, e lui ha già presentato ricorso. In molti ad Avetrana sanno, eppure fanno finta di aver dimenticato. Speriamo che questa nuova attenzione possa spingere qualcuno a parlare.

Per non parlare del supertestimone, il fioraio. Mente? E quando? Quando dice di aver visto Sara e Sabrina o quando si ricorda di aver ‘sognato’?

“Abbiamo intervistato il fioraio che ci ha detto, ribadendo la versione che ha sempre tenuto, come le parole che gli vengono imputate siano riferite a un sogno. E questo rende il tutto ancora più grottesco, perché la sua testimonianza è centrale rispetto alla condanna di Sabrina e Cosima all’ergastolo. Una persona a lui molto vicina, invece, ci ha raccontato che sarebbe tutto frutto di invenzione: dunque né realtà né sogno, ma solo un racconto di fantasia. Non spetta a noi stabilire la natura di quel racconto. Però stiamo ai fatti: al di là di Anna Pisanò, che ha saputo dell’inseguimento di Cosima nei confronti di Sarah solo in maniera indiretta (dalla figlia che l’aveva saputo a sua volta dal fioraio), chiunque invece avesse parlato in quel periodo col fioraio stesso ha sempre detto si trattasse di un sogno. Gran parte di questi sono finiti sotto inchiesta a loro volta, salvo poi essere assolti.

Michele Misseri prima orco, poi pedina delle sue donne, poi di nuovo orco. Finché qualcuno non ha detto basta, cristallizzando la seconda versione. Qual è stata la vostra esperienza con lui? Quali verità dice? Quali tace?

“Michele Misseri da anni continua a sostenere la sua prima verità: è stato lui, è solo lui a uccidere Sarah. Leggendo i documenti, come d’altronde hanno sottolineato anche le difese di Sabrina e Cosima, non si può non osservare che spesso i cambi di versione di Misseri nascano dopo interruzioni d’interrogatorio. Tutto lecito e legittimo, ovviamente. Resta però il fatto che, mentre cambiava versione davanti agli inquirenti, con altre persone – dal medico allo psichiatra del carcere fino ad alcuni detenuti – ha sempre mantenuto inalterata la sua prima versione”.

Il libro è basato sui materiali processuali ma anche sulle interviste che avete realizzato con i protagonisti della storia: quale colloquio vi ha colpito di più?

“Quello con una persona molto vicina a Misseri dopo l’incarcerazione che ha paura di parlare, perché teme conseguenze legali visto che – questa è l’opinione di tanti, a cominciare dai famigliari dei Misseri – chi sostiene una verità diversa rispetto a quella ufficiale paga importanti conseguenze. È una persona che è stata molto vicina all’uomo e ci ha rivelato come lui gli abbia detto fin dal primo giorno di essere colpevole, raccontando dei dettagli che soltanto l’assassino avrebbe potuto sapere”.

Qual è invece l’aspetto di questa storia che vi ha fatto più male, il cosiddetto ‘pugno nello stomaco’.

“La capacità dell’opinione pubblica d’influenzare un processo, e di fare leva sugli istinti ancestrali di ognuno di noi. Al di là anche della vicenda giudiziaria, al di là se si credano Sabrina e Cosima innocenti o colpevoli, questo è un caso che deve interrogare tutti noi. Avetrana è stato un paese stuprato dall’esplosione mediatica, che spesso non si è fermata davanti a nulla. Il cortocircuito che ne è nato, tra dicerie di paese diventate notizie di cronaca e interviste che hanno preso il posto di deposizioni, è stato incredibile. Il punto del non ritorno”.

Cosa vi porterete dentro di questa esperienza? 

“Flavia: Per me  la crudeltà feroce della terra dove sono nata e cresciuta, terra d’incesti e di ulivi. Carmine: Per me l’orizzonte umano dell’intera vicenda: il caso Scazzi, come tanti altri casi di cronaca, devono interrogare prima di tutto noi: ciò che siamo, ciò che rischiamo di diventare, ciò che non vogliamo essere”.