la voce a Sud

blog d'informazione online – attualità, cronaca, notizie, cultura, storia, gastronomia, spettacoli, informazioni, aggiornamenti ed eventi dal territorio

notizie

Il reato di tortura

Il 10 dicembre del 1984 veniva conclusa a New York la “ Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti ” che veniva ratificata dall’Italia nel 1988.

Nella Convenzione, il termine “tortura ” designava “ qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella ha commesso o è sospettata di avere commesso ”.

Tuttavia, ci sono voluti 29 anni e numerosi richiami della Corte EDU affinché, nel 2017, il Legislatore italiano introducesse espressamente nel nostro ordinamento il reato di “tortura”, oggi disciplinato e previsto dall’art. 613 bis del codice penale.

Ciò è avvenuto principalmente sulla spinta delle condanne inflitte alla Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per i fatti del G8 di Genova del 2001, per lo stato dei detenuti nelle carceri e per le detenzioni nei Centri di identificazione ed espulsione.

Ad esempio, con particolare riferimento alle violenze consumate nella caserma di Bolzaneto, i Giudici della Corte di Strasburgo avevano ritenuto che le forze dell’ordine avessero torturato coloro che erano stati fermati e portati nella caserma senza che lo Stato avesse loro garantito protezione, anche perché in Italia non esisteva una legge sul reato di tortura.

Il dibattito politico e parlamentare che ne è seguito è stato carico di tensioni e palesemente influenzato da opposte visioni ideologiche.

Da una parte si sono schierati coloro che, in ossequio al dettato della Convenzione di New York, ritenevano che il reato di tortura dovesse essere finalizzato esclusivamente a reprimere gli abusi delle forze di polizia, caratterizzandosi dunque come reato “ proprio ”.

Dall’altra, chi riteneva che, attribuendo sostanzialmente alla tortura i caratteri del “ reato di Stato ” si potesse correre il rischio di penalizzare eccessivamente le forze di polizia, o comunque di fornirne alla opinione pubblica una rappresentazione lesiva o distorta.

Ne è scaturito, come spesso accade, un testo normativo di “ compromesso ”.

L’art. 613 bis del codice penale, introdotto con la Legge 110 del 14 luglio 2017, stabilisce infatti che “ chiunque con violenza o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona ”.

A prevalere sembrerebbe essere stata dunque la tesi del “ reato comune ”, per effetto della quale è oggi sanzionabile anche la “ tortura tra privati ”, per quanto si tratti comunque di fattispecie a condotta “ vincolata ”.

Tuttavia, il secondo comma del medesimo art. 613 bis, prevede una pena più grave “ se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, con abuso di poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio , stabilendosi poi, al successivo comma tre, che “ Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative dei diritti ”. Inoltre, con l’art. 613 ter si prevede e punisce la “ istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura ”.

Insomma, attraverso tali norme sembrerebbe che il Legislatore abbia voluto restituire “ centralità ” alla dimensione “ statale ” del reato di tortura.

Tale modo di legiferare, poco lineare e incerto, ha provocato non pochi problemi interpretativi, solo in parte risolti grazie ai primi arresti giurisprudenziali, attraverso i quali la Suprema Corte di Cassazione ha tentato di ricondurre a sistema la nuova fattispecie di reato.

Uno dei primi casi sottoposti al vaglio dei giudici di Piazza Cavour ha avuto peraltro ad oggetto una nota vicenda di cronaca giudiziaria consumatasi in Provincia di Taranto e nell’ambito della quale si contestava ad un gruppo di ragazzi, in gran parte minorenni, di avere organizzato delle vere e proprie spedizioni punitive in danno di “ un uomo affetto da patologia psichica, oltre che da un profondo disagio esistenziale e sociale, di carattere schivo, autoemarginatosi socialmente, quanto debole, inoffensivo e incapace di difendersi ”.

La lettura della sentenza della Cassazione (n. 47079 dell’8.7.2019) consente in effetti di districarsi tra le non poche difficoltà ermeneutiche che emergono dalla lettura della norma del codice penale che ora prevede e punisce il reato di tortura.

De “ Il reato di tortura e la tutela dei diritti umani ” si discuterà approfonditamente il 27 gennaio a partire dalle ore 16:00 sulla piattaforma Zoom nel corso di un convegno organizzato dalla Fondazione Tommaso Bucciarelli dell’AIGA (Associazione Italiana Giovani Avvocati).

Tra i relatori, l’avv. Agostino Siviglia, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Regione Calabria, la prof.ssa Sofia Ciuffoletti della Università di Firenze, e il Dott. Domenico Cappelleri, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria.

Avv. Domenico Attanasi

Avvocato Penalista del Foro di Brindisi

e Direttore Generale della Fondazione AIGA Tommaso Bucciarelli