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CONSULTA: ERGASTOLO OSTATIVO, AVVOCATURA STATO APRE A LIBERAZIONE CONDIZIONALE.

Ettore Figliolia: “Giudice di sorveglianza deve verificare in
concreto le ragioni che non consentono di realizzare condotta
collaborativa. Una interpretazione costituzionalmente orientata norme
potrebbe condurre ad esegesi normativa”
Roma, 23 mar. (Adnkronos) – L’Avvocatura dello Stato apre alla non
preclusione assoluta della liberazione condizionale ai condannati
all’ergastolo ostativo che non collaborano con la giustizia, la
cosidetta libertà vigilata che può essere chiesta da tutti i detenuti
che abbiano trascorso almeno 26 anni in carcere ma non dai condannati
ad una pena perpetua per reati di particolare gravità, come terrorismo
e mafia.
“Il Giudice di sorveglianza deve verificare in concreto….quali sono
le ragioni che non consentono di realizzare quella condotta
collaborativa nei termini auspicati dallo stesso giudice”, ha
affermato l’ avvocato di Stato, Ettore Figliolia i ntervenendo durante
l’udienza pubblica in Consulta (giudice relatore Nicolò Zanon),
rimarcando che “una interpretazione costituzionalmente orientata di
queste norme….potrebbe consentire di procedere ad una esegesi della
normativa”, tanto più che anche nelle sentenze della Corte di
Cassazione “mi pare che si sia proceduto ad una maggiore valutazione
sulle ragioni per le quali non era stata data quella collaborazione”.
“Il Governo – prosegue – non può non tenere in debita considerazione
sia i principi evocati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.
253 del 2019, che della sentenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo Viola”, del 13 giugno 2019. “Questi principi – ha rimarcato
Figliolia – debbono essere adeguatamente sfruttati, soppesati,
calibrati rispetto a quelle che sono le peculiarità della liberazione
condizionale, peculiarità che sono evincibili dalla lettura
dell’articolo 177 del codice penale”.
“Si potrebbe procedere – suggerisce – ad una interpretazione di queste
norme nel senso in qualche modo di ritrattare ogni forma di possibile
automatismo ed andare a consentire al giudice di sorveglianza di
verificare in concreto le motivazioni che vengono addotte dal detenuto
per non poter assicurare quella condotta collaborativa sugli altri”.
“Il governo ritiene che ci sia la possibilità di praticare un’esegesi

  • conclude l’avvocatura dello Stato – potremmo dire maggiormente
    corrispondente alla ratio della norma, assicurando praticamente uno
    spazio discrezionale al magistrato decidente in termini di verificare
    in concreto le motivazioni su quella mancata collaborazione che è
    condizione per ottenere il beneficio”.
    Il caso finito in Consulta, su cui dovrà esprimersi la Corte, è quello
    di un mafioso, rappresentato all’udienza pubblica dall’avvocatessa
    Giovanna Beatrice Araniti, che vorrebbe accedere alla libertà vigilata
    senza collaborare. La Corte di Cassazione aveva sollevato, in
    riferimento agli articoli 3, 27 e 117 della Costituzione, questioni di
    legittimità costituzionale degli articoli 4-bis, comma 1, e 58-ter,
    della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento
    penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative
    della libertà) e dell’art. 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152
    (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e
    di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa),
    convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203,
    nella parte in cui si esclude che il condannato all’ergastolo che non
    abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla
    liberazione condizionale.
    Il dubbio di costituzionalità troverebbe causa, secondo la Cassazione,
    nel convincimento che la collaborazione non può essere elevata a
    indice esclusivo dell’assenza di ogni legame con l’ambiente criminale
    di appartenenza e che, di conseguenza, altri elementi possono in
    concreto essere validi e inequivoci indici dell’assenza di detti
    legami e quindi di pericolosità sociale. Tale impostazione, secondo la
    prospettazione della Corte di cassazione rimettente, riflette le
    evoluzioni della giurisprudenza costituzionale e la posizione della
    Corte europea dei diritti dell’uomo sull’ergastolo ostativo, le quali
    inducono a ritenere non manifestamente infondata la questione di
    costituzionalità della normativa censurata che si sostanzierebbe,
    sostiene il giudice a quo, in una irragionevole compressione dei
    principi di individualizzazione e di progressività del trattamento
    penitenziario.
    La Corte di Cassazione rimettente aveva infatti richiamato la sentenza
    della Corte europea dei diritti dell’uomo Viola c. Italia del 13
    giugno 2019 e la sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019.
    Con la sentenza Viola c. Italia, aveva rilevato un problema
    strutturale legato alla presunzione assoluta di pericolosità fondata
    sull’assenza di collaborazione, ritenendo che la mancanza di
    collaborazione non può sempre essere ricondotta a una scelta libera e
    volontaria o comunque al fatto che siano mantenuti i legami con il
    gruppo criminale di appartenenza. Con la sentenza n. 253 del 2019,
    aveva evidenziato che la Corte costituzionale ha confermato, così come
    evidenziato dalla Corte Edu, il carattere assoluto della presunzione
    di mantenimento dei collegamenti con l’organizzazione criminale del
    detenuto che non collabori e, in ragione di tale carattere, ha
    ritenuto l’esistenza di un contrasto con gli artt. 3 e 27 della
    Costituzione dell’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, nella parte
    in cui esclude che il condannato all’ergastolo ostativo, che non abbia
    collaborato, possa essere ammesso alla fruizione dei permessi premio.
    (Rol/Adnkronos)
    ISSN 2465 – 1222
    23-MAR-21 13:01
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