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cronaca

Appello tardivo e termine per impugnare: nuovo chiarimento della Cassazione

Con l’ordinanza n. 18586 del 13 luglio 2018 la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in tema di inammissibilità dell’appello tardivo.

In particolare, la questione affrontata riguardava la decorrenza del termine per impugnare di cui all’art. 327 c.p.c.: il termine per impugnare è la data di pubblicazione o quella di deposito della sentenza? Cosa accade in caso di apposizione di doppia data sulla sentenza?

Il caso in esame

Nel caso in esame, il Tribunale aveva dichiarato inammissibile, poiché ritenuto tardivo, l’appello proposto avverso la pronuncia del Giudice di Pace.

A parere della Suprema Corte, il Tribunale nel giungere a tale pronuncia è tuttavia caduto in errore avendo ritenuto che il termine di cui all’art. 327 c.p.c., fosse decorso non dalla data della pubblicazione della sentenza, bensì dalla data di inserimento della sentenza nel registro cronologico.

Il termine per impugnare ex art 327 cpc

 

A tal riguardo, la Corte ha rilevato che, ai fini del decorso del termine per impugnare di cui all’art. 327 c.p.c., deve darsi rilievo unicamente alla data di pubblicazione della sentenza, che costituisce l’atto mediante il quale la sentenza viene ad esistenza come atto giuridico ed acquista l’efficacia autoritativa propria del dictum del Giudice.

Ad avviso della Suprema Corte, nulla rileva la data del deposito della minuta, consistendo, del resto, in un mero atto interno all’ufficio che avvia il procedimento di pubblicazione, né tantomeno l’inserimento della sentenza nel registro cronologico.

Cosa succede nel caso in cui siano state apposte due date sulla sentenza?

La questione dell’apposizione di una doppia data alle sentenze civili, con le conseguenti problematiche giuridiche anche sul piano costituzionale, non è purtroppo nuova.

La frequente consuetudine di apporre una doppia data in calce alle sentenze civili ha determinato un articolato intrecciarsi e sovrapporsi di interventi giurisdizionali che non risulta ancora sopito.

Le ripetute pronunce sulla questione, come del resto il caso in esame, riguardano tutte ipotesi in cui in calce alla sentenza sono state apposte dal cancelliere due date, individuate rispettivamente come di deposito e di pubblicazione.

Tale erronea separazione temporale dei due passaggi in cui si articola la sentenza, deposito da parte del giudice e presa d’atto del cancelliere, costituisce una patologia gravemente incidente sulle posizioni giuridiche degli interessati, introducendo dubbi e ambiguità in un momento processuale di massimo rilievo, in cui la parte ha la necessità di individuare l’esatto momento di perfezionamento dell’iter procedimentale a partire dal quale cominciano a decorrere i termini per l’impaginazione, nonché specularmente del passaggio in giudicato.

L’orientamento della Cassazione

L’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità identifica il “deposito” come il momento di perfezionamento, efficacia, esistenza, irretrattabilità della sentenza e quindi il momento in cui cominciano a decorrere i termini per la proposizione di eventuali impugnazioni.

In particolare, nella sentenza n. 13794 del 2012, le Sezioni Unite avevano precisato che il procedimento di pubblicazione della sentenza si compie con la certificazione del deposito mediante l’apposizione in calce alla sentenza della data di esso e della firma del cancelliere e che le predette devono essere entrambe contemporanee alla data di consegna ufficiale della sentenza al cancelliere da parte del giudice, dovendo perciò escludersi che il cancelliere possa attestare che una sentenza, già pubblicata per effetto del suo deposito debitamente certificato, venga pubblicata in una data successiva.

Di conseguenza, nei casi in cui l’iter procedimentale venga portato a termine senza interruzioni, il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo e conseguente possibilità per gli interessati di venirne a conoscenza e richiederne copia autentica: da tale momento la sentenza “esiste” a tutti gli effetti e comincia a decorrere il cosiddetto termine lungo (6 mesi) per la sua impugnazione.

Nello scongiurato caso in cui risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso l’apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il giudice è tenuto a verificare la tempestività dell’impugnazione proposta attraverso: un’istruttoria documentale, ricorso alla presunzione semplice ovvero, in ultima analisi, alla regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all’impugnante provare la tempestività della propria impugnazione, perciò il momento in cui la sentenza è divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportante l’inserimento di essa nell’elenco cronologico delle sentenze e l’attribuzione del relativo numero identificativo.

Il quadro normativo

 L’art. 327 c.p.c., in tema di decadenza dall’impugnazione, deve leggersi in combinato disposto con l’art. 133 c.p.c., ai sensi del quale: “La sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata. Il cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto contenente il dispositivo, ne dà notizia alle parti che si sono costituite”.

Come risulta evidente dalla norma in esame, la pubblicazione non è dunque un posterius o comunque un’attività diversa dal deposito, ma si identifica con esso, essendo il deposito l’atto per mezzo del quale la sentenza è resa pubblica.

A fronte di ciò, non è logicamente ipotizzabile una pubblicazione intesa come attività autonoma, diversa e successiva rispetto al deposito.

La coincidenza strumentale tra deposito e pubblicazione comporta dunque la necessità che le attività di deposito intervengano senza soluzione di continuità, in modo tale da non incorrere nel rischio di dover apporre due date distinte e indurre il ricorrente in errore.

Principio di diritto

Alla luce di quanto rilevato, la Cassazione ha dunque enunciato il seguente principio di diritto:

“Ai fini del decorso del temine per impugnare di cui all’art. 327 c.p.c., deve darsi rilievo unicamente alla data di pubblicazione della sentenza”

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