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cose di giustizia

Legittimo escludere l’oblazione amministrativa ambientale per i processi iniziati dopo l’entrata in vigore della L. n. 68/2015

Fonte: quotidianogiuridico.it

La Corte costituzionale, con sentenza del 13 novembre 2020 n. 238, ha ritenuto legittima la scelta del legislatore di circoscrivere l’applicabilità della speciale procedura estintiva del reato, prevista dagli artt. 318-bis ss. d.lgs. n. 152 del 2006, ai soli processi pendenti alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, con esclusione, quindi dei procedimenti penali per i quali, a quella data, sia stata esercitata l’azione penale.Corte costituzionale, sentenza 13 novembre 2020, n. 238

Il caso

Il Giudice monocratico del Tribunale ordinario di Marsala sollevava, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 318-octies d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nella parte in cui prevede che la causa estintiva del reato, contemplata nel precedente art. 318-septiesnon si applichi ai procedimenti penali in corso alla data di entrata in vigore della Parte Sesta-bis, introdotta nel cod. ambiente, dall’art. 1, comma 9, della legge 22 maggio 2015, n. 68 (Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente).

Ad avviso del rimettente, la norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. perché dispone, irragionevolmente, l’irretroattività della lex mitior, determinando un differente trattamento sostanziale e sanzionatorio nei confronti di soggetti che, pur versando nelle medesime condizioni, siano già stati destinatari dell’esercizio dell’azione penale al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina, rispetto a coloro nei cui confronti non sia stata ancora esercitata l’azione penale.

Orbene, la legge n. 68 del 2015 – che ha introdotto nel libro secondo del codice penale il nuovo Titolo VI bis, rubricato «Dei delitti contro l’ambiente» – è intervenuta anche sul versante dei reati contravvenzionali previsti nel codice dell’ambiente, introducendo la Parte Sesta-bis (rubricata “Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale”), che contempla gli artt. da 318-bis a questione di legittimità costituzionale dell’318-octies, i quali prevedono, in quest’ambito, il modello di estinzione delle contravvenzioni previsto dal d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 in materia di lavoro.

In particolare, tali disposizioni prevedono una speciale procedura estintiva del reato, di cui il contravventore può beneficiare se elimina gli effetti della propria condotta o se ripristina lo stato dei luoghi esistente prima dell’offesa, provvedendo anche al pagamento di una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

In relazione alle fattispecie contravvenzionali previste dal medesimo codice dell’ambiente che non abbiano cagionato né danno, né pericolo concreto e attuale alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette (318-bis) – l’art. 318-ter dispone che l’organo di vigilanza con funzioni di polizia giudiziaria, o la stessa polizia giudiziaria, «allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata», impartisce al contravventore «un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente dall’ente specializzato competente nella materia trattata» e fissa un termine per la regolarizzazione «non superiore al tempo tecnicamente necessario»; con la prescrizione «l’organo accertatore può imporre specifiche misure atte a far cessare situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attività potenzialmente pericolose».

Nello stesso tempo l’organo accertatore riferisce comunque al pubblico ministero la notizia di reato relativa alla contravvenzione, ma il procedimento penale è sospeso dal momento dell’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., fino a quanto il titolare della pubblica accusa riceve comunicazione dell’adempimento o dell’inadempimento della prescrizione (art. 318-sexies).

Entro 60 giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo accertatore verifica se la violazione è stata eliminata nel termine e con le modalità indicati nella prescrizione stessa (318-quater, comma 1).

Se la verifica ha avuto esito positivo il contravventore è ammesso alla cosiddetta oblazione amministrativa, ossia «a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa» (comma 2) e, in tal caso, la contravvenzione è estinta se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall’articolo 318-quater, comma 2» e, in tal caso, il p.m. richiede l’archiviazione del procedimento.

Se, invece la verifica avuto esito negativo «l’organo accertatore ne dà comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella stessa prescrizione» (comma 3), il che determina la ripresa del procedimento penale.

La legge disciplina, inoltre, l’adempimento tardivo o con modalità diverse, che si ha quando il contravventore adempie «in un tempo superiore a quello indicato dalla prescrizione, e che comunque risulta congruo a norma dell’318-quater, comma 1», oppure nell’ipotesi della «eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza» 318-septies, comma 3).

Il comma 3 dell’318-septies dispone che l’adempimento tardivo o con modalità diverse «sono valutati ai fini dell’applicazione dell’art. 162-bis c.p. In tal caso, la somma da versare è ridotta alla metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa».

La norma censurata, posta a chiusura della Parte Sesta-bis stabilisce che «Le norme della presente parte non si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima parte».

Ad avviso del rimettente, l’espressione «procedimenti in corso» si riferisce ai processi già iniziati, sì che la nuova normativa trova applicazione anche ai procedimenti pendenti nella fase delle indagini preliminari alla data di entrata in vigore della Parte Sesta-bis del codice dell’ambiente, in relazione ai quali non è stata ancora esercitata l’azione penale.

Orbene, l’individuazione del discrimine temporale di applicabilità della procedura estintiva nel momento dell’esercizio dell’azione penale – e non già dell’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro – è coerente con la ratio di tale nuova normativa che, da una parte, mira ad assicurare una maggiore tutela dell’ambiente, favorendo la condotta ripristinatoria di chi abbia violato le norme del codice ponendo in essere una condotta prevista come reato contravvenzionale; e, dall’altra, persegue una finalità deflattiva, perché con la possibilità dell’oblazione amministrativa prima dell’esercizio dell’azione penale il processo non ha neppure inizio, in conformità all’intento altresì deflattivo della specifica disciplina di cui alla Parte Sesta-bis del codice dell’ambiente, come già riconosciuto da questa Corte (sentenza n. 76 del 2019).

Sul presupposto di tale interpretazione, il giudice rimettente dubita della compatibilità della norma censura con l’art. 3 Cost., al fine di estendere l’ambito di applicazione di tale più favorevole disciplina ai procedimenti che, nella fase transitoria della sua iniziale applicazione alla data di entrata in vigore (29 maggio 2015), si trovavano in una più avanzata fase del processo, ossia dopo l’esercizio dell’azione penale.

La decisione della Corte

La questione di costituzionalità non stata ritenuta fondata.

La Corte ha dato atto che le disposizioni sull’“oblazione amministrativa ambientale”, in quanto consentono l’estinzione del reato prima che il processo abbia inizio con l’esercizio dell’azione penale, rivestono una chiara valenza sostanziale, in quanto costituiscono “disposizioni (…) più favorevoli al reo”, la cui successione nel tempo è regolata dall’art. 2, comma 4, c.p.

Ciò chiama in causa il principio di retroattività della lex mitior.

A tal proposito, la Corte ha ribadito che, se per un verso (sentenza n. 236 del 2011), “l’ambito di operatività del principio di retroattività in mitius non deve essere limitato alle sole disposizioni concernenti la misura della pena, ma va esteso a tutte le norme sostanziali che, pur riguardando profili diversi dalla sanzione in senso stretto, incidono sul complessivo trattamento riservato al reo”, per altro verso tale principio è riconducibile alla sfera di tutela non dell’art. 25, comma 2, Cost., bensì dell’art. 3 Cost., “che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice” (sentenza n. 394 del 2006).

Da ciò deriva che mentre, l’irretroattività in peius della legge penale costituisce un “valore assoluto e inderogabile”, la regola della retroattività in mitius “è suscettibile di limitazioni e deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli” (n. 236 del 2011).

Alla stregua di siffatti criteri di giudizio, la Corte ha ritenuto di rinvenire, nella disciplina transitoria contenuta nella norma censurata, ragioni idonee a giustificare l’inapplicabilità della speciale causa estintiva del reato di cui all’art. 318-septiesd.lgs. n. 152 del 2006 ai procedimenti in relazione ai quali sia già stata esercitata l’azione penale alla data della sua entrata in vigore.

La Corte ha messo in luce che le disposizioni racchiuse nella Parte Sesta-bis d.lgs. n. 152 del 2006 hanno accolto il modello di estinzione delle contravvenzioni previsto dal d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro) anche quanto alla norma transitoria, di cui all’art. 25, comma 2, di contenuto identico a quello oggetto delle odierne censure.

Orbene, la Corte ha evidenziato come l’art. 25 d.lgs. n. 758 del 1994, parimenti sottoposto a scrutinio di costituzionalità, sia stato ritenuto immune da censure, sul presupposto (ordinanze n. 460 del 1999, n. 415 e n. 121 del 1998) che “è assolutamente pacifico che la nuova disciplina dell’estinzione del reato, contenuta nel capo II del d.lgs. n. 758 del 1994, è costruita in guisa tale da operare solo all’interno della fase delle indagini preliminari, essendo finalizzata – in caso di adempimento alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza e di pagamento in via amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa – alla richiesta di archiviazione per estinzione del reato da parte del pubblico ministero (artt. 21-24) e, quindi, ad evitare l’esercizio dell’azione penale”.

Considerazioni sono state ritenute valide anche con riferimento alla presente questione di legittimità costituzionale.

La Corte ha evidenziato che “la previsione della speciale oblazione amministrativa ambientale mira, infatti, da una parte ad assicurare, nell’immediatezza dell’accertamento della commissione dell’illecito, il ripristino della situazione ambientale alterata, ponendo tale onere a carico del contravventore. Ed al contempo è orientata a perseguire un effetto deflattivo perché la definizione del procedimento in sede amministrativa evita la celebrazione del processo, destinato a chiudersi con un decreto di archiviazione, qualora le prescrizioni e il pagamento siano stati adempiuti”.

Ed è proprio questa la ratio della mancata applicazione della più favorevole disposizione di cui all’318-septies in relazione ai quali sia già stata esercitata l’azione penale alla data di entrata in vigore della disposizione stessa è pienamente ragionevole, “non potendosi ipotizzare – senza smentire le ragioni di speditezza processuale alle quali anche è ispirata la norma – una regressione del processo alla fase delle indagini preliminari al solo fine di attivare il meccanismo premiale suddetto con l’indicazione, ora per allora, di prescrizioni ad opera dell’organo di vigilanza o della polizia giudiziaria”.

E ciò senza dimenticare che “il contravventore che comunque abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato può avere comunque accesso all’oblazione prevista dall’art. 162-bis c.p.”

Esito del ricorso:

Dichiarazione di infondatezza

Riferimenti normativi:

Art. 318-octies, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152