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Cosa rischia il lavoratore che non fa il vaccino anti-Covid

Fonte: laleggepertutti.it

Non c’è una norma che renda obbligatorio il siero e, pertanto, che legittimi il licenziamento. Ma ci sono altre soluzioni per tutelare i colleghi.

Sarà molto difficile che un’azienda riesca a licenziare un lavoratore che non ha fatto il vaccino anti-Covid con la scusa che può contagiare gli altri. Le probabilità di giustificare quel provvedimento sono veramente scarse. Ad oggi, infatti, non c’è scritto da nessuna parte che sia obbligatorio vaccinarsi e non c’è alcuna legge che imponga di farlo nemmeno a chi svolge una particolare mansione che lo porta a contatto con gli altri. Perfino la Costituzione, come ricorda questa mattina il quotidiano Il Sole 24 Ore, riconosce che non si può costringere un cittadino ad assumere una qualsiasi sostanza per scopi medici. Se ne deduce che punire un lavoratore con la massima pena per non aver fatto qualcosa che non è obbligatorio fare, sarebbe inammissibile. L’assenza di una norma che preveda l’obbligo del vaccino impedisce il licenziamento anche dal punto di vista della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro. Se un dipendente rifiuta il siero, il suo datore, come abbiamo visto, non può cacciarlo via ma, semmai, deve aumentare le precauzioni all’interno dell’azienda per garantire quanto richiesto dal Codice civile in materia, appunto, di tutela degli altri lavoratori.

C’è, infine, un’altra questione da non sottovalutare: il dipendente non è tenuto a dire al suo datore se ha fatto o meno il vaccino. Motivo in più per non poterlo licenziare.

Quello che il lavoratore può rischiare è che il rifiuto di fare il vaccino lo renda vulnerabile a tal punto da non poter svolgere più una mansione. Se così fosse, e se quell’impedimento fosse temporale, l’azienda sarebbe legittimata a muoversi in una di queste direzioni: metterlo in smart working, per evitare che possa fare danni ai colleghi o a eventuali clienti, oppure spostarlo di reparto affidandogli una mansione diversa che non preveda un contatto diretto con altre persone. Terza soluzione: l’aspettativa non retribuita a causa dell’inidoneità temporanea. Solo se questa situazione diventa definitiva si può pensare al licenziamento.