la voce a Sud

blog d'informazione online – attualità, cronaca, notizie, cultura, storia, gastronomia, spettacoli, informazioni, aggiornamenti ed eventi dal territorio

notizie

La meravigliosa cripta tra i campi: affreschi preziosi e ancora visibili ai rari visitatori

Fonte: senzacolonnenews.it

Il bello del nostro territorio è di essere dotato di un patrimonio naturalistico, storico e culturale tale che può anche capitare che una passeggiata mirata ad esplorare un determinato luogo non vada a buon fine e ti porti, invece, a scoprire, quasi casualmente, qualcos’altro di ancora più bello e misterioso in quanto sconosciuto ai più, il che elimina, di botto, la delusione per non aver potuto visitare la meta prefissata.
L’idea originaria era quella di risalire il corso del Canale Reale – un fiume che ha la sua sorgente, la famosa Fonte di Strabone, a Villa Castelli e sfocia, dopo 48 chilometri, fra Apani e Torre Guaceto – per andare finalmente a visitare la Cripta di San Biagio, interessata per lunghi anni da lavori di restauro, recupero e valorizzazione ad opera della Regione Puglia e del Ministero dei beni Culturali, oltre che della Città di San Vito dei Normanni che, da una ventina di anni, ha in gestione tale monumento che pure è ubicato in contrada Iannuzzi, in agro di Brindisi.
Approfittando di una giornata senza pioggia nel primo fine settimana di febbraio, percorrendo la complanare della Statale 379 Adriatica dal lato che costeggia il Santuario di Jaddico, lascio l’auto all’imbocco dello stradone che porta verso Torre Regina Giovanna e mi dirigo a piedi verso il Canale Reale e, attraversato il primo ponte, continuo a camminare tenendo il corso d’acqua alla mia destra e mi fermo, dopo qualche minuto, davanti ad una enorme Roverella cresciuta proprio sul bordo del fiume. Mi fermo a scattare qualche foto e volgendomi indietro, vedo che una strada interpoderale sfrutta i resti di un antico ponte in pietra risalente a chissà quanti secoli addietro.
Continuo a camminare per oltre un’ora fino a quando, in prossimità della masseria Iannuzzi, in stato di semi abbandono e con centinaia di piccioni che stazionano sul tetto e lo sorvolano, riattraverso il Canale reale, ormai nei pressi del complesso rupestre della Cripta di San Biagio.
A differenza delle ultime volte che sono passato di qui non ci sono più le odiose impalcature che per anni hanno contrassegnato più che i lavori in corso, i lavori iniziati e non terminati. Evidentemente qualcosa deve essere andato finalmente per il verso giusto ed il cantiere è stato smontato, segno evidente che i laboriosi lavori di restauro erano stai portati finalmente al termine e la cripta dovrebbe essere nuovamente fruibile per visitatori e turisti.
Portoni sbarrati, cancelli chiusi, nessuna indicazione su orari di apertura e, nei pochi minuti che ho gironzolato attorno, prima un gruppetto di cicloturisti si è fermato chiedendomi se era possibile visitare la cripta e poi un’auto con una famiglia di altoitaliani che, guida turistica alla mano e seguendo le indicazioni stradali, era arrivata sul posto e se ne andava mestamente con le pive nel sacco.
Verifico in diretta la situazione sul sito internet del Comune di san Vito dei Normanni e scopro che per visitare la chiesa rupestre non c’è altro sistema che inviare una mail ed aspettare di essere contattati per concordare il giorno della visita, per cui mi tocca rinviare ad altra occasione.
Stavo per tornarmene indietro, deluso, quando un altro gruppo di cicloamatori, questi con gambe e bici decisamente infangate, giunge dal senso opposto. Scambio quattro chiacchiere anche con loro e mi dicono di aver seguito un percorso che attraversa la Statale 16 e la Ferrovia da un tratturo che passa sotto la strada, seguendo il corso del canale.
Si tratta, con ogni probabilità, del vecchio percorso ciclabile che vide un importante intervento di recupero effettuato dal Comune di Brindisi nei primi anni del nuovo millennio e che seguendo il corso del Canale Reale parte dalla costa e giunge sino a Mesagne. Non ci penso due volte e, tornatomi il buon umore, seguo il sentiero che percorro per circa un’ora prima di giungere, cartina alla mano, dalle parti della masseria Cafaro: il suolo carsico della lama scavata chissà quanti millenni addietro dalla furia delle acque del fiume, le gravine, alcune grotticelle, dei vecchi alberi di pero selvatico disseminati qua e là, mi fanno intuire di essere vicino, come non mai, alla Cripta di san Giovanni, che avevo sempre rinunciato a cercare in quanto ritenevo di non avere sufficienti informazioni per individuarla
Un signore gentile, assai pratico del luogo, mi conferma la presenza di questa chiesa nella grotta, così la definisce, mi indica il suo ingresso e mi incoraggia a visitarla. Scesi i pochi gradini scavati nella pietra ed indirizzato il fascio di luce della torcia verso le pareti, provo un’emozione che, sinceramente, poche volte ho provato davanti ad opere dell’uomo: sono letteralmente immerso nel periodo bizantino e contemplo a bocca aperta un primo, poi un secondo, poi un terzo e poi un altro affresco ancora.
Non essendo stata una visita preventivata, non mi ero documentato sui libri prima di andarci e di quella cripta ne sapevo davvero poco, se non quel che ricordavo di un saggio di don Antonio Chionna sugli insediamenti rupestri della provincia di Brindisi. Passo una buona mezz’ora all’interno della cripta, cercando di non lasciarmi sfuggire alcun particolare di ciò che vedevo, cercando di dare un nome ai santi raffigurati nelle sacre immagini. Del percorso a ritroso, per tornare all’auto parcheggiata nei pressi della Cripta di san Biagio, ricordo quasi nulla, concentrato come ero a guardare e riguardare dal monitor della mia Nikon, le foto che avevo appena scattato all’interno della chiesa rupestre e non vedevo l’ora di essere a casa per poterle ammirare sullo schermo del computer e condividerle con alcuni amici che hanno la mia stessa passione.
Dal momento che non mi voglio avventurare in ambiti che, se pure mi appassionano, sono lontani dalle mie competenze specifiche, ho pensato subito di interpellare, una persona che questi luoghi come anche la civiltà rupestre, li conosce in maniera dettagliata, profonda e reale, avendo sempre abbinato lo studio sui libri all’esperienza sul campo: si tratta di Alessandra Pennetta, laureata presso l’Università del Salento in Conservazione dei Beni Culturali, con una tesi sulla Storia dell’Arte Bizantina con quella che è considerata una delle massime esperte in materia di archeologia ed arte paleocristiana, la professoressa Marina Falla Castelfranchi.
Per motivi di studio, ma anche per passione hai avuto modo di percorrere negli anni scorsi, in lungo e largo, le lame del Canale Reale, un luogo fra Brindisi e San Vito dei Normanni particolarmente ricco di cripte basiliane: cosa puoi dirci su questi insediamenti rupestri che hanno segnato, per secoli, il nostro territorio?
“La definizione di cripte eremitiche basiliane e monaci basiliani spesso utilizzata in riferimento a questo nostro patrimonio non è esatta. Recenti studi hanno, infatti, sconfessato l’idea delle grotte-chiesa come luoghi isolati in cui monaci eremiti di culto greco conducevano una vita ascetica. Lo stesso padre del monachesimo orientale, San Basilio, non ha mai predicato la vita ascetica ma una spiritualità a contatto con il mondo. Più corretta appare la definizione di insediamenti rupestri e chiese rupestri, per questi monumenti della civiltà medievale. Va detto che sono numerosi i centri della provincia di Brindisi che conservano testimonianze della civiltà rupestre ma particolarmente ricche sono la zona di Fasano e quella di Ostuni-San Vito dei Normanni, grazie alle caratteristiche geologiche del loro territorio”.
Un tesoro nascosto e sconosciuto ai più è la cripta di San Giovanni, in agro di Brindisi, i cui affreschi, anche ad un profano come me, sono apparsi magnifici; ci puoi raccontare qualcosa di questo vero e proprio gioiello artistico e culturale?
“E’ uno dei luoghi da me preferiti anche se non ci vado da anni e gli affreschi, in effetti, sono davvero favolosi. Cominciamo dall’abside centrale dove è affrescata la “Deesis”. Questo termine, derivante dal greco, significa intercessione, supplica. È la supplica che le figure laterali rivolgono al Cristo posto in posizione centrale. La raffigurazione canonica è quella con Cristo in posizione centrale con la Madonna e San Giovanni Battista ai suoi lati. Essi intercedono presso il Cristo a favore dell’umanità. La Vergine indossa un abito blu e un mantello rosso scuro impreziosito da un bordo bianco e da un motivo a perline. Accanto alla sua aureola troviamo l’abbreviazione del termine “Mater Domini”, a noi tanto caro. Cristo indossa un abito rosso scuro e un mantello blu. La sua aureola è decorata da una croce rossa arricchita da motivi bianchi. Ai lati di essa troviamo l’abbreviazione IC XC che sta per Gesù Cristo. Questa figura è stata compromessa da uno scavo che ne ha cancellato la mano destra; con l’altra mano regge il Libro dei Vangeli su cui troviamo l’iscrizione latina “Ego sum lux mundi qui sequitur me non deambulat in tenebris”. San Giovanni Battista è riconoscibile non solo per l’iscrizione “S.Iohannes” vicino all’aureola, ma anche per la lunga barba, i capelli scomposti e l’abito orlato da una treccia di pelliccia che è riferibile al periodo in cui, come è riportato nel Vangeli, visse nel deserto vestito di pelle di cammello.
Sulla parete laterale posta a sud c’è un affresco raffigurante la Vergine con Bambino, San Giovanni Battista e San Clemente. Anche in questo la Vergine indossa un mantello rosso scuro e un abito blu. Essa regge il Bambino con la sinistra e lo indica con la destra. Il Bambino benedice con la mano destra e nella sinistra stringe un rotolo chiuso. L’aureola del Bambino, come il Cristo nell’abside, è arricchita da una croce. Questo tipo di aureola, detta crucifera, è un attributo utilizzato esclusivamente per Gesù Cristo. Al centro del trittico di santi troviamo nuovamente la figura di San Giovanni Battista raffigurato mentre benedice alla maniera greca e con la mano sinistra regge un rotolo aperto con l’iscrizione: “Ecce agnus Dei qui tollit peccata mundi”, riferita, chiaramente al Cristo. Anche in questo caso il santo è raffigurato con i suoi attributi tipici quali la veste di pelliccia, questa volta chiusa da una spilla circolare, e i capelli e la barba lunghi e disordinati resi da piccole ciocche. Completa il trittico su questa parete la figura di un santo vescovo riconoscibile come tale grazie alla stola, al copricapo e al pastorale stretto nella mano sinistra; con la mano destra il santo benedice alla greca. La veste è molto ricca, decorata con rombi racchiudenti puntini bianchi. Il bordo della veste, così come i polsini dell’abito sottostante, è di colore ocra a voler simulare l’oro. La figura è identificabile con San Clemente grazie all’iscrizione presente vicino alla sua aureola. La tipologia del suo copricapo permette di datare gli affreschi ad un periodo anteriore al XIV secolo.
Sulla parete che delimita il presbiterio è affrescato un Arcangelo realizzato probabilmente nello stesso periodo dei precedenti cioè tra il XII secolo e gli inizi del XIII secolo ma da un artista molto più abile e raffinato. I suoi abiti sono sontuosi e interamente decorati con motivi geometrici a losanghe e a cerchi impreziositi da piccoli puntini bianchi a voler simulare piccole perle. Appena visibile è l’ala sinistra. Con la mano sinistra regge un globo dorato mentre il braccio destro è sollevato e forse reggeva una lancia, oggi non più visibile.
Sulla parete di fronte all’abside troviamo un affresco molto più tardo, non più riferibile ai bizantini, ma di esecuzione popolare, in cui è raffigurato San Rocco, riconoscibile dalla ferita sulla gamba dovuta alla peste e dal bastone e dal mantello legati ai suoi pellegrinaggi e la Vergine col Bambino”.
Un’ultima domanda: cosa si potrebbe fare, a tuo avviso, per far conoscere, rendere fruibile e tutelare, il grande patrimonio rupestre di questo tratto di campagna brindisina di cui nessun Ente Pubblico sembra preoccuparsi veramente?
“Ci vorrebbe, in primo luogo, una campagna di monitoraggio dello stato di conservazione attuale di questo patrimonio per poi programmare, sulla base delle risultanze, gli interventi di restauro. Gli equilibri di temperatura e umidità di questi luoghi sono molto fragili e gli interventi da realizzare vanno valutati con estrema attenzione. Anche la fruizione di questi luoghi, a mio avviso, deve essere programmata con cautela per evitare di arrecare danni irreversibili a questo magnifico patrimonio culturale”.