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cronaca

Una paradossale macchina di fanghi

Fonte: senzacolonnenews.it

di Gianmarco Di Napoli

Quella che vogliamo raccontarvi oggi è la storia del più paradossale processo che si sia svolto in provincia di Brindisi: paradossale perché per anni sul banco degli imputati di un tribunale, badate bene, solo ed esclusivamente mediatico, è stato inchiodato un personaggio che non aveva mai ricevuto un avviso di garanzia e neanche una multa. Cui, nonostante ogni atto che avesse firmato fosse esaminato sotto decine di lenti d’ingrandimento, non è stata mai riscontrata la benché minima irregolarità. C’era probabilmente un solo problema: aveva vinto tutto e acquisito un ruolo troppo ingombrante nella società brindisina perché era presidente della Provincia, proprietario della squadra di basket che aveva portato in serie A, aveva fondato un movimento politico che lentamente stava acquisendo la leader-ship a livello provinciale e regionale, era nelle condizioni di incidere sull’elezione dei sindaci e di tutti i presidenti degli enti.
E dichiarargli guerra, scaraventandogli addosso quotidianamente bordate di fango, aveva un duplice obiettivo: da un lato quello di ostacolarne nella maniera più becera l’affermazione politica, dall’altro di usufruire di visibilità riflessa, accreditandosi come fustigatori di quello che si cercava di dipingere come un nemico della collettività, un affarista, un personaggio che aveva scelto la politica per aggiustare i suoi interessi.

Massimo Ferrarese in realtà non aveva bisogno di tutto questo: quando da imprenditore affermato e presidente di Confindustria aveva deciso di fare il grande salto della politica, non aveva pendenze (economiche o giudiziarie) da sistemare, era tanto ricco da potersi permettere di finanziare da solo una squadra di basket nel massimo campionato italiano. Eppure il fatto che Enel avesse deciso (per altro già prima che egli iniziasse l’attività politica) di sponsorizzare quella società sportiva fu leva sulla quale costruire l’immagine dell’industriale privo di scrupoli che nel frattempo era divenuto presidente della Provincia.

A guidare la non esigua squadriglia di denigratori c’era Riccardo Rossi, all’epoca paladino dell’ambientalismo più estremo e membro del gruppo “No al carbone”. Prima ancora di essere eletto a consigliere comunale, Rossi invividuò in Ferrarese il suo avversario principale, facendolo pian piano diventare (con il supporto di alcune testate giornalistiche locali) il pericolo pubblico numero uno per l’intera comunità brindisina. Una battaglia condotta scientificamente e, benché priva di qualsiasi supporto documentale o giudiziario, divenuta una quotidiana arrampicata verso quelli che probabilmente erano i veri obiettivi di Rossi: scalzare Ferrarese, farsi largo tra la sciapita concorrenza di aspiranti politicanti, con i galloni del garante dell’ambiente, assumere lui un ruolo importante a Palazzo. Anche se negava di avere ambizioni in questo senso.

Così negli striscioni che Rossi impugnava a ogni corteo, Ferrarese era diventato “Ferrarenel”, facendo sottintendere quali loschi affari esistessero dietro quella sponsorizzazione di basket. E alludendo ad altri affari proibiti che di certo l’imprenditore stava gestendo per far confluire appalti pubblici verso le sue aziende. E soprattutto c’era un altro chiodo fisso di Rossi: la bonifica della Micorosa, un’area inquinata con i fanghi del Petrolchimico e che era stata acquisita da una società di cui Ferrarese era entrato a far parte a 27 anni. “Ferrarese sfrutta il suo ruolo da presidente per non bonificare quell’area”. Lo urlava durante ogni Consiglio provinciale, quando prendeva posto tra il pubblico con la magliettina nera.

Sono trascorsi diversi anni. Nel frattempo, non sappiamo quanto condizionato da questa martellante campagna di illazioni nei suoi confronti, Ferrarese ha lasciato la politica ed è tornato a fare l’imprenditore a tempo pieno. Rossi invece è diventato sindaco e presidente della Provincia. Ci è riuscito.
La storia ha prima chiarito che Ferrarese non aveva alcun rapporto d’affari con Enel al punto che, quando ancora era sponsor della sua società di basket, l’aveva chiamata in giudizio chiedendo un risarcimento-record di 500 milioni di euro per danni ambientali (processo ancora in corso). Sicuramente una decisione folle, dal punto di vista imprenditoriale. Eppure assunta senza remore.

La storia ha chiarito anche che le aziende di Ferrarese non hanno mai partecipato ad alcuna gara d’appalto pubblica né in provincia di Brindisi né altrove, così come i suoi più accaniti avversari avevano più volte ipotizzato.

Restava il nodo di Micorosa. E anche qui, negli ultimi giorni, è stato dimostrato che gli strali di Rossi erano infondati: il Consiglio di Stato ha stabilito che non era la società di cui faceva parte Ferrarese ma il gruppo Enichem ad aver inquinato (nei 30 anni precedenti alla nascita di Micorosa) e a doversi quindi fare carico delle spese di bonifica. Ferrarese, dunque, non doveva pagare assolutamente nulla.

Gli unici fanghi sono stati quelli verbali e rancorosi di una politica fatta di slogan “contro” a prescindere, scagliati contro il politico-imprenditore e per i quali nessuno ha ritenuto – finora – di dover chiedere quantomeno scusa. Perché, tuttora, a causa di quell’immagine artatamente modificata in anni di aggressioni mediatiche, in qualcuno potrebbe permanere l’idea che essa fosse verosimile. Un marchio di sospetto che è paradossale perché fondato sul nulla nei confronti di una persona che, sfidiamo qualcuno a trovare una prova contraria, ha dato molto di più di quello che ha ricevuto. Senza mai violare la legge.

Nel frattempo, come diceva il famoso slogan di Rossi, la storia è stata cambiata: Ferrarese non fa più politica (e probabilmente non la rimpiange) tornando a fare l’imprenditore. E Rossi è seduto al suo posto. Traguardo raggiunto, come quello del giro d’Italia a Brindisi nel 2020: era tutto un luccichio di striscioni colorati con il marchio Enel. E Rossi sotto a festeggiare l’arrivo.