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Prove atipiche: CTU espletata in altro giudizio è argomento di prova

Fonte: altalex

«Salvi i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione normativa specifica, che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (e, se sia stata disposta, è possibile proporre subito istanza di prosecuzione in virtù dell’art. 297 c.p.c.), ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell’art. 337 comma 2 c.p.c., applicandosi, nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell’art. 336 comma 2 c.p.c.
L’elencazione delle prove civili contenuta nel codice di rito non è tassativa, e quindi devono ritenersi ammissibili le prove atipiche, la cui efficacia probatoria è quella di presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. od argomenti di prova. Sono prove atipiche i verbali di prove espletati in altri giudizi, la perizia resa in altro giudizio fra le stesse od altre parti, la sentenza resa in altro giudizio».

La sentenza 12-18 novembre 2021, n. 1333 (testo in calce) emessa dal Tribunale di Reggio Emilia si occupa di due questioni degne di nota: la sospensione del giudizio per pregiudizialità e le prove atipiche nel processo civile.

Nel caso di specie, veniva chiesto il risarcimento del danno al datore di lavoro dai parenti del lavoratore deceduto. La decisione del giudice del lavoro è pregiudiziale rispetto al giudizio relativo alla liquidazione del danno da perdita parentale, infatti, il secondo procedimento (giudizio pregiudicato) viene sospeso e ripreso anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza emessa dal giudice del lavoro (giudizio pregiudicante). Secondo il tribunale emiliano, quando il giudizio pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria (ex art. 295 c.p.c.), ma può essere adottata in via facoltativa (ex art. 337 c. 2 c.p.c.).

In relazione alle prove, il giudicante ricorda come il codice di rito non contenga un’elencazione tassativa e, quindi, siano ammissibili anche le prove atipiche. La loro efficacia probatoria è quella delle presunzioni semplici (ex art. 2729 c.c.). Rientrano in tale categoria i verbali di prove espletati in altri giudizi, la perizia resa in altro giudizio fra le stesse od altre parti, la sentenza resa in altro giudizio.

Sommario La vicenda Premessa: la sospensione del processo Sentenza non passata in giudicato: il giudizio sospeso può proseguire? La posizione delle Sezioni Unite Sono ammissibili prove assunte in un altro procedimento? Alcuni esempi di prove atipiche Conclusioni

La vicenda

Davanti al giudice del lavoro veniva proposta una causa relativa al decesso di un lavoratore per malattia professionale; si trattava di mesotelioma causato da esposizione ad amianto. Il giudice del lavoro disponeva la separazione del giudizio in relazione alla domanda di risarcimento del danno da perdita parentale avanzata dalla moglie e dai figli della vittima.

Il giudice civile, su istanza delle parti, sospendeva il giudizio (ex art. 295 c.p.c.) in attesa della pronuncia del giudice del lavoro in merito alla sussistenza (o meno) della responsabilità del datoriale ex art. 2087 c.c. e del nesso causale tra le mansioni svolte dal lavoratore e la malattia professionale insorta. In seguito alla sentenza di primo grado, emessa dal giudice del lavoro, gli attori chiedevano la prosecuzione del giudizio civile, stante l’intervenuto accertamento della responsabilità del datore di lavoro nella causazione del danno.

Il giudice civile accoglieva la domanda di prosecuzione e, preso atto che anche con la sentenza di secondo grado in sede lavoristica era stata confermata la responsabilità del datore di lavoro, decideva il giudizio.

Premessa: la sospensione del processo

Prima di analizzare il decisum, ricordiamo brevemente l’istituto della sospensione. Si segnalano i seguenti casi:

  1. sospensione necessaria o per pregiudizialità – che viene in rilievo nel caso di specie – ex art. 295 c.p.c.;
  2. sospensione concordata o su istanza delle parti per giustificati motivi ex art. 296 c.p.c.,
  3. sospensione impropria, nei casi previsti dalla legge (ad esempio, quando la decisione dipende dalla risoluzione di questioni riservate alla Corte di Giustizia dell’UE ex art. 267 TFUE).

Durante la sospensione il processo entra in una fase di quiescenza in cui non è possibile compiere attività processuale fatti salvi gli atti urgenti (art. 48 c. 2 c.p.c.). La sospensione interrompe i termini in corso, i quali ricominciano a decorrere dal giorno della nuova udienza fissata nel provvedimento di sospensione (art. 298 c.p.c.). La sospensione necessaria (sub a) trova il proprio fondamento nell’esigenza di evitare un conflitto tra giudicati. Essa postula:

  • un rapporto di pregiudizialità tra le cause in forza del quale la decisione del giudizio in corso (lite pregiudicata) va sospesa quando dipende dalla soluzione di un’altra controversia già pendente (lite pregiudicante),
  • la pendenza contemporanea in primo grado davanti a giudici diversi,
  • il coinvolgimento delle stesse parti.

Ciò premesso, veniamo alla decisione in commento.

Sentenza non passata in giudicato: il giudizio sospeso può proseguire?

Nella fattispecie in esame, ci troviamo di fronte ad un caso in cui la decisione del giudice del lavoro sulla responsabilità datoriale è pregiudicante rispetto alla decisione sulla liquidazione del danno pendente davanti al giudice civile. Quindi:

  • il giudizio pregiudicante va deciso,
  • mentre il giudizio pregiudicato viene sospeso.

La problematica che emerge è la seguente: il giudizio pregiudicato (sulla liquidazione del danno) – precedentemente sospeso – può riprendere anche nel caso in cui la decisione emessa nel giudizio pregiudicante (sulla responsabilità del datore di lavoro) non sia passata in giudicato?

La risposta è affermativa, infatti, una volta che sia stato definito in primo grado il procedimento della causa pregiudicante, la sospensione non è più necessaria ma solo facoltativa (Cass. S.U. 10027/2012). Il riferimento normativo si trova nell’art. 337 c. 2 c.p.c. e non più nell’art. 295 c.p.c.
La causa va decisa senza attendere il passaggio in giudicato della sentenza relativa alla lite pregiudicante. Come ricordato, la ratio dell’istituto della sospensione è da ricercarsi nella volontà di evitare il conflitto tra giudicati, tuttavia, nel tempo, è stato ridimensionato anche in virtù della contrapposta esigenza di ragionevole durata del processo. È pur vero che l’art. 297 c.p.c., in relazione alla fissazione della nuova udienza dopo la sospensione, fa riferimento al passaggio in giudicato, nondimeno tale indicazione va intesa unicamente quale termine a decorrere dal quale si deve proporre la domanda di prosecuzione.

Riassumendo:

  • finché la causa pregiudicante pende in primo grado, la causa dipendente resta sospesa (per sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c.);
  • quando la causa pregiudicante viene definita in primo grado, si può sciogliere “il vincolo necessario della sospensione” se una delle parti del giudizio pregiudicato si attiva per riassumerlo e purché il giudice non reputi opportuno mantenere lo stato di sospensione – non più necessaria ex art. 295 c.p.c. – ma facoltativa ai sensi dell’art. 337 c. 2 c.p.c

La posizione delle Sezioni Unite

Il tribunale richiama quanto affermato dalle Sezioni Unite:

«Salvi i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione normativa specifica, che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (e, se sia stata disposta, è possibile proporre subito istanza di prosecuzione in virtù dell’art. 297 c.p.c.), ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell’art. 337, comma 2, c.p.c., applicandosi, nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell’art. 336, comma 2, c.p.c.
(Cass. Sez. Un. n. 21763/2021, che dà sostanziale continuità a Cass. n. 17936/2018 e Cass. Sez Un. n. 10027/2012

Sono ammissibili prove assunte in un altro procedimento?

Come ricordato, nella causa decisa dal giudice del lavoro è stata acclarata la responsabilità datoriale nella malattia professionale che ha condotto alla morte del lavoratore. Nel giudizio civile possono entrare le prove assunte nel procedimento lavoristico?

Il tribunale rileva come, nel processo civile, manchi un omologo di quanto disposto nel rito penale (art. 189 c.p.p.) ove è prevista espressamente l’ammissibilità delle prove non disciplinate dalla legge. Tuttavia, la dottrina e la giurisprudenza1 prevalenti ritengono che, in ambito civile, non ricorra un numerus clausus delle prove e, quindi, siano ammissibili le prove atipiche. L’ingresso delle suddette prove nel processo avviene nel rispetto del contraddittorio tra le parti e soggiace ai limiti temporali posti a pena di decadenza per la loro produzione. Le prove atipiche:

  • sono ammissibili,
  • sono assimilate a prove documentali,
  • la loro efficacia probatoria è pari a quella delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. o argomenti di prova.

Alcuni esempi di prove atipiche

In alcuni casi, l’atipicità della prova discende dal fatto che sia stata raccolta in una sede diversa da quella in cui viene impiegata. Si pensi alla testimonianza resa in un giudizio penale e utilizzata in un processo civile. Tra le prove atipiche si citano:

  • verbali di prova espletati in altri giudizi2,
  • la perizia resa in altro procedimento civilistico3,
  • la sentenza resa in altro procedimento civilistico4.

In merito ai verbali, nel codice di procedura penale esiste una norma ad hoc (art. 238 c.p.p.) che disciplina l’acquisizione dei verbali di prove di un altro procedimento. In ambito civile, l’unica disposizione presente riguarda il valore indiziario delle prove raccolte in un processo estinto (art. 310 c.p.c.). Da tale norma «è stato enucleato un principio generale per il quale i verbali di prove espletate in altri giudizi civili, in giudizi penali od amministrativi, compresi gli accertamenti di natura tecnica-peritale, hanno valore di mero indizio, prescindono dalla circostanza che la prova sia stata raccolta in un processo tra le stesse od altre parti […] e possono essere vagliate dal Giudice senza che egli sia vincolato dalla valutazione fatta dal Giudice della causa precedente […]».

Per quanto riguarda la sentenza resa in un altro giudizio, oltre a produrre gli effetti di giudicato tra le parti (ex art. 2909 c.p.c.), essa può valere come prova documentale verso i terzi che non sono parti del giudizio, anche se non vincolante per il giudice. «Tale efficacia indiretta di prova documentale rispetto ai terzi che non sono parti nel giudizio, pur se non vincolante per il giudice, può essere invocata da chi vi abbia interesse, spettando al giudice di merito esaminare la sentenza prodotta a tale scopo e sottoporla alla sua libera valutazione, anche in relazione ad altri elementi di giudizio presenti negli atti di causa».

Conclusioni

In conclusione, nella fattispecie in esame, si perviene all’affermazione della responsabilità del datore di lavoro, in base alla sentenza del giudice del lavoro, confermata in secondo grado, nonché delle prove e della CTU esperite in quella sede. Il giudice civile, quindi, accoglie la domanda di risarcimento iure proprio avanzata dai familiari del lavoratore defunto.

TRIBUNALE REGGIO EMILIA, SENTENZA N. 1333/2021 >> SCARICA IL TESTO PDF