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Dannata, amata, insostituibile plastica

fonte brunoleoni.it

Carlo CambiRassegna stampa29 aprile 2020Dannata, amata, insostituibile plasticaIl materiale più demonizzato per l’inquinamento che produce è tornato protagonistaMascherine, guanti, tute protettive e divisori indispensabili per battere la pandemia riportano in auge il polipropilene. Mentre a giugno incombe anche la plastic tax.

«E mo’?» sorrideva col suo bel faccione dai televisori dell’Italia del boom Gino Bramieri. «E mo’, Moplen». Appunto. Sono passati 120 lustri, ma siamo ancora di nuovo lì. Perché la plastica demonizzata, messa al bando nelle intenzioni dei nostri governanti per via fiscale si sta prendendo una «plastica rivincita». Impossibile gestire, ma anche sconfiggere il coronavirus senza quella sostanza «leggera e resistente, duttile e trasparente».

E senza la plastica usa e getta e senza quella più italiana di tutte: il Moplen o comunque il polipropilene. Fu Giulio Natta, imperiese di Porto Maurizio, Nobel per la chimica nel 1963, a inventare il Moplen. Il nome rimanda alla Montecatini ed è una sorta di condensato della storia felice e terribile della chimica italiana. Grazie a Natta si fanno le fiale che contengono i tamponi, i tubi e le membrane dei ventilatori polmonari, le visiere protettive, i caschi respiratori. Perfino le miracolose valvole stampate con le stampanti 3D nascono da fili di plastica. E se andremo al mare (?) protetti dai divisori trasparenti, e se ceneremo divisi da separé, tutto sarà sempre in plexiglass.

Tutto questo ha fatto sottacere per qualche tempo la demonizzazione del materiale più duttile, più a buon mercato – soprattutto ora col petrolio in picchiata – e più «trasparente» che l’uomo abbia mai potuto usare. Perché contro la plastica c’è un pregiudizio ecologista costruito partendo da una prospettiva sbagliata. Lo sostiene Carlo Stagnaro, direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale dell’Istituto Bruno Leoni, come dire la casa del pensiero economico liberale, che ha scritto un breve saggio dal titolo La rivincita della plastica. Afferma Stagnaro: «La questione delle plastiche non sta nel loro utilizzo o nel ciclo produttivo – che anzi è meno impattante rispetto a molte alternative – ma nel fine vita. Riguarda la raccolta e la destinazione dei rifiuti di plastica. Per dare una dimensione: dei 380 milioni di tonnellate che produciamo annualmente, circa il 3 per cento finisce negli oceani. Di questi, il 60 per cento viene dall’Estremo Oriente, l’11 dall’Asia meridionale, il 3-4 dall’Europa e l’1 per cento dal Nordamerica».

Stagnaro è tranchant su una questione: «Nel 2020 avremo bisogno di plastica, e tanta. Per questo, il governo dovrebbe abbandonare la criminalizzazione di un materiale, a partire dalla plastic tax e, semmai, cercare di colpire i comportamenti sbagliati legati a raccolta, smaltimento e trasformazione. Il Covid-19 ci obbliga a ripensare ogni gesto e abitudine nella prospettiva dell’igiene. Di conseguenza, il packaging, specialmente degli alimentari, e i prodotti monouso, a partire da posate, guanti, piatti e bottiglie, diventano tasselli centrali della Fase 2».

Eh già, perché per compiacere Greta Thunberg e i movimenti ecologisti l’Europa mette fuorilegge dal prossimo anno tutti i materiali monouso, e l’Italia ha fatto di più: ha messo la tassa sulla plastica. La cosiddetta plastic tax scatterà a luglio. Cinquanta centesimi al chilo su tutti i prodotti monouso. E si era partiti, con grande trionfalismo del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, da un euro al chilo. A far fare parziale marcia indietro al governo è stato il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini: nella sua regione si concentra circa la metà dell’industria della plastica in Italia e, a Mirandola, c’è il polo biomedicale più importante d’Europa. Lì si lavora tanta plastica: per fare arterie artificiali, macchinari per la dialisi e per la cardiochirurgia.

È vero che mangiamo microplastiche, ma è anche vero che in sala operatoria ci salva la plastica. E non è chirurgia estetica. Ma la fame di quattrini – anche se il gettito atteso è poco più di 150 milioni quest’anno e circa mezzo miliardo il prossimo – e la fama politically correct del governo giallorosso non tiene conto di questo. L’unico materiale sanitario escluso dalla tassa sono le siringhe monouso, che servono anche per drogarsi. Le provette dei tamponi, tante per dirne una, sono sotto la mannaia del fisco.

E pensare che l’Italia possiede primati economici e produttivi unici soprattutto nelle plastiche «pulite». Fu Raul Gardini – la sua morte pesa come un macigno sul ritardo industriale di questo Paese – ad intuire che dall’agricoltura si potevano estrarre nuovi materiali. Gardini aveva in mente di far viaggiare le auto con l’etanolo e di costruire le macchine con le plastiche da granturco. Prima di lui ci aveva pensato nel 1910 Henry Ford che aveva creato la macchina di canapa alimentata a olio di canapa. I petrolieri gli fecero la guerra e della Hempy Body Car (si chiamava così l’utilitaria vegetale) non se ne fece più niente.

Che sia successo così anche a Gardini che a metà degli anni Ottanta presentò le plastiche da granturco? Erano i tempi della Montedison, evoluzione del Moplen. Dalla dissoluzione dell’avventura del «Pirata» qualcosa però si è salvato. È la Novamont che Catia Bastioli, nominata scienziata e inventore europeo dell’anno nel 2007 e nata professionalmente in quell’incubatore che era il team di chimici della Montedison, ha portato al successo. Produce il Mater-B, una plastica biodegradabile e compostabile a Terni, là dove è nato il Moplen: diventato famoso perché Matteo Renzi lo promosse con le buste della spesa, e siccome la Bastioli stava alla Leopolda ecco che la bioplastica fu inquinata dalla politica.

Ma è un successo italiano e complessivamente oggi il settore delle bioplastiche vale circa 10 miliardi di fatturato. Con una ricerca costante: uno degli ultimi brevetti consente di fare plastica dai cardi selvatici e tessuti dalle bucce d’arancia. Ma anche questa è un’eredità del passato; prima del Moplen gli italiani producevano la galalite: una plastica fatta con gli scarti del latte che fu anche al centro di uno scandalo «inventato» sul formaggio sintetico.

Complessivamente il Moplen e parenti in Italia occupano 150 mila addetti in 10 mila aziende, per un fatturato attorno ai 40 miliardi di euro. E ce la caviamo anche nel riciclo, secondi in Europa solo alla Germania: diamo nuova vita a metà degli imballaggi e circa il 18 per cento delle nuove plastiche è fatta dal riuso. Sottolinea ancora Stagnaro: «Per battere la plastica monouso in termini di impatto ambientale, un sacchetto di cotone organico dovrebbe essere riusato almeno 20 mila volte, uno di cotone convenzionale oltre 7 mila volte, uno di carta 43 volte. Esattamente ciò che, nell’epoca del Covid-19, non possiamo permetterci». Ora la parola passa a Roberto Gualtieri. Ci faccia sapere se intende ancora tassare i salvavita in plastica o se a luglio l’inutile plastic tax finirà nel cassetto.

da Panorama, 29 aprile 2020