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Chiude lo studio da ingegnere e a 53 anni prende i voti: è vice parroco della Cattedrale.

– “Buongiorno don Vito, posso disturbarla?”
– “Essere disturbati da un fratello o sorella, per un cristiano dovrebbe essere un concetto incomprensibile: siamo stati battezzati per essere disturbati”. Con una risposta del genere, fosse un medico, si pensa subito al personaggio di Carlo Verdone, che “no, non mi disturba affatto, mi dica pure” in ogni momento, perfino sull’altare; e l’altare, in ogni caso, c’entra, perché si tratta del nuovo vicario parrocchiale della Cattedrale di Brindisi, don Vito Paparella: abito talare, ma con una laurea in ingegneria civile in tasca. Essere fino in fondo fratello di tutti – e per tutti. “Siamo come le corde di una chitarra, che servono in egual modo alla musica, chiamate a vibrare a una frequenza propria”, ama ripetere: ecco, se si potesse sintetizzare il tratto caratteristico con cui il don si predispone alla vita religiosa che ha appena imboccato, sarebbe senz’altro un cammino da pari a pari, tutti fratelli in Cristo, dal sacramento del battesimo, dove il presbitero ha solo in più la vocazione a farsi “disturbare” da chi ha bisogno di lui. E infatti il suo telefono non smette di squillare.
Don Vito Paparella, tarantino di nascita e barese di adozione, ha 53 anni e il 18 marzo scorso l’arcivescovo Domenico Caliandro gli ha conferito il sacramento sacerdotale, proprio durante la celebrazione eucaristica serale che, per la tradizione liturgica, è già “del giorno dopo”. Perciò è “don” dalla solennità di san Giuseppe, padre terreno di Gesù, entrando ufficialmente a far parte del clero della diocesi di Brindisi – Ostuni, nel quale per altro era già compreso nel periodo del diaconato. Nell’aria carica d’incenso durante la recita dei vespri, il nuovo ministro della Chiesa si è prostrato ai piedi dell’altare, con la stola e la veste bianca che parevano un’apertura alare allo Spirito Santo e ha spezzato per la prima volta il pane, corpo di Cristo: ciò che ha provato è e resta nel giardino segreto della sua anima.
Dalla fisica dei materiali alla “chimica” con l’Altissimo non è un luogo antimoderno o infrequente, come potrebbe apparire a un osservatorio poco attento, perché l’esperienza di Dio si esprime in ogni piega e in qualsiasi momento della vita: “A 48 anni ho capito cosa fosse quella parte incomprensibilmente mancante, quando a un certo punto questa assenza l’ho percepita con lucidità. Del resto, la vita è sempre un “riempire” di qualcosa che manca, altrimenti saremmo sempre fermi, ma è nella ricerca continua che si rischiara la visuale: è il desiderio di Dio che Egli stesso ha messo in noi, e che per me si è rivelato in misura sempre più forte”.
E’ stato quindi quasi sei anni fa, nel 2015, che Vito Paparella ha chiuso le porte del proprio studio professionale a Bari, nel quale ha esercitato come ingegnere delle strutture – questa la sua specializzazione -, e dove per vent’anni ha progettato e diretto lavori sia in ambito pubblico che privato. Si chiamano “vocazioni mature”, sempre più frequenti all’indomani del Grande Giubileo della Chiesa Cattolica, voluto da Giovanni Paolo II nel 2000, durante il quale l’estensione mondiale ai gruppi di persone rese l’evento ancora più eccezionale. Accade così che l’intuizione di consacrarsi come possibilità di risoluzione definitiva della propria vita arrivi attraverso un sentiero non classico e dopo un pezzo considerevole di trascorsi “civili”, quando il bisogno di dare sempre più centralità alla figura di Cristo nel proprio vissuto si fa più pressante. Per essere Sua immagine e “buon pastore del popolo di Dio”. Per don Vito non si tratta, tuttavia, di una rottura col passato bensì di una naturale protesi ecclesiale a una formazione spirituale iniziata nelle fila dell’Agesci, Associazione Guide e Scouts Cattolici, quando aveva 14 anni e terminata nel 2008, iniziando appena dopo un lungo periodo di discernimento durato sette anni, fino a quando nel 2015 ha intrapreso ufficialmente il percorso vocazionale. Ma come si avverte la “chiamata”? “Queste cose non iniziano in un momento, in seguito a un evento particolare, in una sorta di retrodatazione – riprende il sacerdote -, ma il quadro generale diventa tutto più chiaro quando si guarda indietro dal momento della scelta di immettersi su questa strada: quando uno comprende che c’è una chiamata forte nell’apertura totale a tutti, perché il sacerdozio per me è questo, ossia vivere a tempo pieno la propria missione e portare nel mondo la salvezza di Cristo attraverso i sacramenti”. “Nel mezzo, a un certo punto della vita si avvertono fatalmente momenti di vuoto, ci si sente sempre a metà, e perciò è naturale chiedersi cosa sia quella forma di incompletezza, pur con tutti gli impegni quotidiani”.
Un “senso di vertigine” che il don ha provato, riuscendoci, a portare in stabilità, inserendosi nella pastorale vocazionale canonica: “Qualunque indirizzo si voglia dare, in maniera seria, alla propria vicenda umana, è sempre necessaria un’apertura all’esterno: bisogna rendersi disponibili all’ascolto e a dispiegare le vele, affidandosi, meglio se a una persona in particolare altrimenti diventa complicato avere troppi riferimenti, e con questa piano piano ci si mette in cammino; una figura che si faccia carico delle istanze e dei dubbi, nell’accostamento a una preghiera sempre più fervente, e che, come i cercatori d’oro nei film western, ci indichi come distinguere una pietra d’oro da una patacca”. Per il vicario del Duomo di Brindisi, questo strumento di connessione tra i simboli e i segnali dello Spirito si delinea in don Luigi Spaltro, parroco barese e proprio direttore spirituale dal 1987, al quale nel 2009 ha posto per primo la questione di voler capire cosa potessero significare certe inquietudini interiori e le conseguenti situazioni di vita venutesi a creare.
Diventa, così, fondamentale intercettare i contesti per praticare sempre più attivamente la fede cristiana pur partendo dallo stato laicale, quindi con esperienze di volontariato sempre più feconde. Nei sette anni di indagine in se stesso rispetto al mondo che lo circondava, prima di intraprendere gli studi filosofici e teologici, don Vito ha avuto la grande opportunità di misurarsi con esperienze all’estero che gli hanno permesso di capire come orientare il messaggio evangelico di cui voleva farsi portatore, in una connotazione eucaristica che gli ha permesso di compenetrare la sua professione “secolare” col mistero del dono totale di sé al prossimo: in perfetta continuità e coerenza, quindi, come tiene più volte a rimarcare. “Come ingegnere civile, senza alcuna organizzazione alle spalle e semplicemente come missione insieme a una congregazione di suore, mi è stato chiesto di realizzare opere infrastrutturali in un villaggio del Benin, nell’Africa orientale – racconta don Vito -, ma sono stato anche in Ruanda, in Tanzania, in America Latina: ci andavo lì nel periodo delle ferie dal lavoro, in occasione di Natale e Pasqua, e tutto il mese di agosto”. Nei suoi frequenti viaggi in terra straniera, dal 2009 al 2015, ha avuto modo di realizzare una scuola in collaborazione con imprese edili locali, provvedendo anche a organizzare una formazione di base ai muratori del posto, ad esempio insegnando le tecniche per realizzare il calcestruzzo a mano. “Mi porto dietro tutto quello che sono stato e che sono, senza rinnegare nulla perché per me è tutto collegato e in continua evoluzione, in quanto ho sempre desiderato poter realizzare qualcosa di significativo grazie alla mia professione e ho aspettato tanti anni perché avessi l’occasione di farlo”.
E però, che la consapevolezza di dedicare la propria vita al Signore e quindi al “prossimo tuo” arrivi sia dopo aver battuto altre strade, alla luce di alterne vicende professionali e affettive, sia negli anni della giovinezza al termine degli studi superiori, in realtà si parte tutti agli stessi nastri di partenza, perché è veramente difficile stabilire se una vocazione matura sia anche più salda, ma di certo c’è solo che chi ha incontrato il messaggio evangelico si vede dissolvere la nebbia davanti agli occhi: “Il sentire di fondo è quello di voler vivere una vita pienamente in Cristo, cosa che si può perseguire in tanti modi: nel mondo del lavoro testimoniando la propria fede, nell’attività di volontariato, oppure facendo il catechista. Ma quando il desiderio è più intenso la via è quella del cammino vocazionale”, afferma ancora don Vito. Per quest’ultimo la prima tappa è stata proprio la diocesi di Brindisi, dove fu assegnato come prima esplorazione: “Qui avevo bisogno di capire come muovermi poiché in un primo momento pensavo di puntare la strada missionaria, data l’esperienza pregressa, ma il vescovo, monsignor Maurizio Caliandro, facendo le sue valutazioni, mi ha proposto di avviare la mia formazione da seminarista presso il Collegio internazionale missionario dei Rosminiani, a Roma, iniziando così la fase di discernimento necessaria a capire in quale forma servire la Chiesa, mentre compivo gli studi di filosofia e teologia”. Di pari passo con lo studio, nei cinque anni di formazione don Vito si è confrontato con tanti “lavoratori nella vigna del Signore”, rappresentanti di comunità ecclesiali di diversa natura, al fine di indirizzare in via definitiva l’impegno e il rinnovo quotidiano della propria donazione a Cristo e alla Chiesa. L’entusiasmo per la scelta del carisma diocesano al presbiterato è palese e riverbera nelle parole di gratitudine per colui che, nell’imporre le mani sul suo capo, ha insignito Vito Paparella del secondo grado dell’Ordine Sacro: “Posso dire che monsignor Caliandro è stato un vero padre che mi ha accompagnato, sempre lasciato nella piena libertà di prendere le mie decisioni, affidandomi a persone che sono state molto importanti per me, come il rettore del seminario e il mio direttore spirituale in Roma, non avendo alcun condizionamento nella scelta di restare in questa diocesi, anche se ero pronto ad andare ovunque mi avessero mandato a svolgere il mio ministero”.
L’attività pastorale del sacerdote comincia quindi da qui, con i suoi 53 anni e un consistente bagaglio di conoscenza lavorativa e privata, pratica e affettiva, oltre che di vita spirituale cristiana cattolica. Potrà tutto ciò costituire un valore aggiunto alla dimensione sacerdotale? “E’ troppo presto per dirlo e non so se ci sarà mai una risposta, anche se sicuramente dipenderà dalle situazioni davanti alle quali mi metterà il Signore dal momento dell’ordinazione, dove Lui mi porterà”, riflette il don, “ma la domanda che io mi pongo è perché il Signore ha voluto che arrivassi fino ad ora ad ora a iniziare questo percorso. La verità è che il Signore chiede, propone un modello e noi siamo liberi di rispondere”.
In un momento in cui una scelta totalizzante di questo genere può sembrare di forte autolimitazione o addirittura fuori dal tempo, la gioia di don Vito Paparella è la perfetta risposta a un viaggio che affonda le radici nel battesimo, il sacramento col quale “siamo chiamati ad aprirci agli altri ed essere strumenti con i doni dello Spirito che il Signore ci ha dato nell’esperienza di vita, della Chiesa e del mondo”. Del resto, come termina il grande romanzo dello scrittore francese Georges Bernanos, Diario di un curato di campagna: “Che cosa importa? Tutto è grazia”.