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cose di giustizia

Gratuito patrocinio: l’attestazione ISEE è irrilevante ai fini dell’ammissione

Fonte: altalex.com

Qualsiasi elemento costitutivo del reddito familiare deve essere oggetto di specifica indicazione nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (Cass. pen., sez. IV, sentenza 17 dicembre 2021, n. 46159 – testo in calce).

Il fatto

La pronuncia che si annota muove dal ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d’Appello di Messina che confermava la condanna dell’imputato alla pena di un anno e quattro mesi per il reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, per avere falsamente attestato, nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio, di avere percepito nell’anno 2012, in uno con i suoi familiari conviventi, un reddito pari a 12.428,00 Euro, mentre, in realtà, la moglie convivente aveva percepito tra lavoro dipendente, malattia e prestazioni sociali, redditi per un totale di 15.339,31 Euro.

Con un unico motivo il ricorrente deduceva vizio motivazionale assumendo che la Corte distrettuale non si sarebbe confrontata con il proposto motivo di appello circa l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato: a riguardo la difesa aveva evidenziato come l’imputato avrebbe malamente fatto riferimento alle risultanze della dichiarazione ISEE senza informarsi se questa comprendesse anche i redditi esenti e soggetti a ritenuta alla fonte, i soli che avevano determinato il superamento dei limiti di reddito.

Il P.G. rassegnava le proprie conclusioni scritte chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

La sentenza

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile ritenendo che i giudici avessero correttamente accertato la responsabilità dell’imputato poiché questi, facendo riferimento, nell’istanza di ammissione, all’attestazione ISEE, aveva omesso di dichiarare le somme percepite a titolo di malattia/infortunio e prestazioni sociali, falsamente attestando la propria condizione economica e conseguendo un beneficio cui altrimenti non avrebbe avuto accesso.

In particolare la Corte ha precisato che l’ISEE non è un criterio valido per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato ma un metodo (che non si limita al solo reddito percepito, ma prende in considerazione anche il patrimonio immobiliare e mobiliare della famiglia) per calcolare, valutare e confrontare la situazione economica di una famiglia, necessario quando si richiede una prestazione sociale o previdenziale agevolata (ad esempio il pagamento di buoni mensa, rette d’asilo, tasse scolastiche e universitarie) il reddito di cittadinanza o di emergenza, l’assegno unico per i figli, e altre agevolazioni.

La Corte ha richiamato in sentenza il D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159, avente ad oggetto il “Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”, nel quale è precisato che per “prestazioni sociali” accessibili con lo strumento dell’ISEE “si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonchè quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia” (D.P.C.M. n. 159 del 2013, art. 1).

Orbene, la norma istitutiva del gratuito patrocinio (il D.P.R. n. 115 del 2002) fa riferimento non solo al reddito imponibile, ai fini dell’imposta personale risultante dall’ultima dichiarazione, bensì anche ai “redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero ad imposta sostitutiva”.

Ne consegue, ha osservato la Corte, che “l’omessa indicazione di redditi non presenti nell’ISEE e/o l’errata imputazione di detrazioni e deduzioni non consentite per la determinazione del reddito, ed invece permesse per la determinazione dell’ISEE, può condurre alla commissione del reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, oltre che, in caso di sforamento dei limiti per l’ammissione, alla revoca del beneficio, con conseguente obbligo di restituzione allo Stato delle somme ingiustamente percepite”

Ha ulteriormente specificato la Corte che dell’ISEE, come della documentazione che comprovi il reddito imponibile (modello 730, modello UNICO, certificazione unica etc.), l’interessato potrà avvalersi solo come sua personale fonte di conoscenza sulla situazione reddituale della propria famiglia. Ma, ricomprendendosi tra i redditi di cui al D.P.R. cit., art. 76 anche redditi che in quelli possono non comparire (perchè non soggetti a tassazione), o anche redditi percepiti “in nero” e finanche quelli derivanti da attività illecite1l’unico dato rilevante è la propria dichiarazione, con valore autocertificativo, non rilevando in alcun modo la fonte delle proprie conoscenze circa il reddito familiare.

Ne consegue che qualsiasi elemento costitutivo del reddito familiare deve, dunque, essere oggetto di specifica indicazione.

Anche in punto elemento psicologico la Corte ha respinto le censure della difesa condividendo il pensiero dei giudici di merito che avevano risposto negativamente sulla scorta di due argomentazioni: da una parte la circostanza che il falso accertato a carico dell’imputato consistesse essenzialmente nella rappresentazione di un dato integralmente difforme dalla realtà, atteso che l’imputato aveva ricondotto a sè stesso un reddito da lui mai percepito, inferiore alla soglia stabilita dalla legge (mediante la produzione dell’ISEE), omettendo invece di dichiarare quanto effettivamente percepito dalla moglie, perchè ostativo alla positiva definizione della domanda; dall’altra che l’imputato fosse già incorso in un procedimento penale per altra falsa attestazione reddituale in una procedura per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato e che pertanto fosse poco credibile la circostanza che egli, nel compilare nuovamente l’istanza, non fosse a conoscenza di quali redditi dovesse indicare ai fini della nuova richiesta di concessione del beneficio.

Reputando, pertanto, l’effettiva insussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, quale sintomo del dolo, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e condannato il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

CASSAZIONE PENALE, SENTENZA N. 46159/2021 >> SCARICA IL PDF