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cose di giustizia

La Cassazione stabilisce che l’autoproduzione di cannabis non è reato

I Giudici del Palazzaccio assolvono un 38 enne che aveva coltivato della cannabis sul terrazzo di casa propria

Roma– La Corte di Cassazione con sentenza ha stabilito che la coltivazione di cannabis finalizzata all’ uso personale non costituisce reato. Ovviamente questo non può rappresentare un invito a trasgredire le regole vigenti in Italia, dove coltivare cannabis è considerato comunque illegale. Ma, non può non reclamare l’attenzione che merita una pronuncia di questa portata a firma del massimo organo giurisdizionale nostrano. 

La vicenda in relazione alla quale è stato emesso il provvedimento, riguarda un cittadino italiano di 38 anni, tratto in arresto nel 2015 dai Carabinieri a Sessa Aurunca (CE), dopo che erano stati rinvenuti 14 grammi di cannabis nella sua abitazione e 6 grammi di hashish, e 3 piante coltivate sul balcone di pertinenza della propria casa. A seguito della condanna avvenuta al termine del processo di primo grado, il Tribunale di merito della Corte d’Appello, aveva assolto l’uomo dal reato di detenzione illegale di stupefacenti, in quanto ricondotti all’uso personale, pur confermando la detenzione dovuta alla coltivazione di 3 piante di cannabis sul proprio terrazzo.

Avendo presentato ricorso per Cassazione, ha ottenuto una sentenza che, di fatto, ha giudicato come “fatto insussistente”, la coltivazione della stessa sentenza, annullando il provvedimento di secondo grado, ponendo un apripista netto, a tutti i contrasti interpretativi della giurisprudenza più recente.

Secondo il parere dei Giudici della Cassazione, “non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto”. Ciò, non solo perché i giudici hanno considerato come prima di offensività la condotta assunta dal 38 enne, il quale assumeva abitualmente cannabis, non facendo rilevare “elementi idonei a ritenere la destinazione alla cessione a terzi”, ma pure perché la coltivazione  riguardava un numero esiguo di piante, “senza l’adozione di alcuna particolare tecnica atta ad ottenere un quantitativo apprezzabile di stupefacente”.

Esistono altri precedenti in cui la Suprema Corte di Cassazione  si era già espressa in tal senso, per esempio con la sentenza 36037 del 2017 o la sentenza 33835 del 2014,  e nel dicembre 2019, quella delle sezioni penali unite, quando fu sostenuto nelle motivazioni che, la coltivazione personale di cannabis, non era ascrivibile come reato se di dimensioni minime, attuata nelle proprie mura domestiche ed avvalendosi di tecniche rudimentali e con un numero di piante risicato.

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