la voce a Sud

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cronaca

La rivoluzione del povero Sud passato dai corrotti ai sanculotti

Fa impressione vedere il Sud a cinque stelle più contorno di leghisti già padani. Vi ricordate cos’era il sud quand’eravate ragazzi o bambini? Era la terra dove si figliava di più, dove fiorivano le clientele, roccaforte democristiana e governativa, e prima monarchica e cattolica, abitata da tanti indigeni e da pochi allogeni. Certo, ogni tanto spuntava un Masaniello, avveniva qualche rivolta – come a Reggio – o emergeva la protesta popolare, per esempio a cavallo del Msi. Ma il corpaccione del sud restava aggrappato al potere, al pubblico impiego, alla protezione sociale, religiosa, familista.

Ora cos’è il sud? È la terra dove si figlia di meno e si parte di più, ma l’emigrazione riguarda i talenti con titolo di studi superiore e non gli emigrati per fame e avventura. È la terra abitata da molti migranti con tanti centri che mantengono comunità di extracomunitari sfaccendati con telefonino. È la terra delle chiese svuotate, come al nord, e delle famiglie sfasciate, non tanto dalle separazioni coniugali quanto dalle fughe dei figli all’estero. È la terra dove gli alberi delle clientele furono espiantati, i pozzi dell’impiego pubblico furono essiccati, le mafie persero i legami in profondità rispetto al tessuto sociale ma si allargarono in superficie tramite il controllo delle attività commerciali, il pizzo, lo spaccio, il malaffare. In questa terra desolata cresce ora come gramigna, muschio o erba selvatica, il grillismo. Come minaccia al potere, come sberleffo ai potenti, come grido di guerra e di rancore, come richiesta di assistenza tramite i famosi redditi di cittadinanza. Che agli occhi di molti meridionali sono il nome nuovo e depurato delle vecchie promesse clientelari: le assunzioni nella pubblica amministrazione, gli aiuti dalla Cassa del Mezzogiorno, le mandrie di assunti tra le guardie forestali, i contributi a pioggia, i sostegni dell’Ente Comunale Assistenza (la mitica Eca del dopoguerra), la 285, i lavori socialmente utili. Con la fantasiosa favoletta che lo Stato grillino chiamerà i disoccupati e offrirà loro lavoro per ben tre volte, e se pure alla terza rifiutano allora toglierà l’assegno di cittadinanza. Immaginate lo stato che dispone di un servizio del genere e soprattutto che dispone di posti da offrire a gogò (oltre che di decine di miliardi per pagare i redditi).

 

I 5Stelle risvegliano un’indole sudista a metà strada tra la protesta radicale e la richiesta di aiuto, tra l’insorgenza e l’assistenza, con l’attesa di un ominarello della provvidenza. Non è sovranismo, ma è l’antica predilezione per la sovranità, questa volta però il re è pop e tech. Lui è “uno di noi”, un reuccio, re Luigi in sedicesimo.

La situazione del sud è grave e si può capire la reazione del voto. Qui nessuno prometteva più niente, questi invece si. In più non sono esponenti di una casta e nemmeno di un ceto dirigente, sono giovani, senza lavoro fisso, a volte sfaccendati, o appena imbarcati. Nuovi, intonsi, e la loro incompetenza, la loro ignoranza, è vista come virtù, garanzia di verginità e fedina penale ancora candida come i loro spogli curriculum. Senza storia. Nella prospettiva di una democrazia diretta fondata sulla rete, i parlamentari di cinque stelle sono visti come cursori della volontà popolare. Di Maio si legge Di Mouse, è il loro topo elettronico che mette in relazione la volontà degli utenti con lo schermo del potere. Via le mediazioni, via la classe dirigente, il popolo, anzi la plebe, si autogoverna tramite i grillini, entra nel Palazzo reale, lo riprende col telefonino, e promette di allargare i benefici della corte all’intero popolo. Come se dove mangiano cento possano mangiare centomila. Un teorema puerile, negato dalla statistica; la distribuzione pauperista divide ricchezza e spartisce povertà, si polverizza. Su un grillo benestante non campano mille cicale.

Però è comprensibile questa ribellione del sud, da qualche parte doveva esplodere e incanalarsi; è sacrosanto il disagio e il senso d’abbandono, sacrosanta la reazione ai potentati, al malgoverno, al malaffare. Anche se alla fine quel che la gente non perdona al malaffare è che ha smesso di distribuire a cascata i suoi benefici, facendo godere un po’ tutti, come una volta. Mi fa male vedere il mio sud in queste condizioni, anzi per essere più precisi, mi fa male vederlo passare da un male a un altro, ritenendo che possa essere una terapia rispetto al precedente. Erano però scarse, lo riconosco, le alternative. Non so, non sappiamo come finirà, se sarà solo una botta marzaiola e poi niente, né come si evolverà, se verrà imbrigliato dai vecchi marpioni che già cercano l’abbraccio mortale per ammansire, circuire e pilotare i grillini. Ma l’ignoranza al potere, l’impreparazione al comando, il pauperismo non ha mai dato buoni frutti. Povero sud, passato dai corrotti ai sanculotti.

 

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