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cronaca

Cittadinanza agli immigrati: i Borbone risolsero il “problema” con una semplice legge

Nei mesi scorsi la questione dello ius soli è stata al centro di un acceso dibattito politico che ha, alla fine, dissuaso il governo Gentiloni a perseguire il suo scopo su una tematica oltremodo delicata che è legata a doppio filo ad un’altra, anzi potremmo dire che ne è una diretta conseguenza.

La questione della cittadinanza per gli stranieri che vivono da molti anni sul suolo italiano, e che si sono perfettamente integrati nella nostra società, è solo una delle infinite sfumature del più ampio e complicato discorso sull’immigrazione.

Tale tematica è da sempre molto dibattuta. Gli attriti e le divergenze sono all’ordine del giorno a causa della sua grande complessità. In questi ultimi anni l’interesse da parte di politici di ogni ordine, grado ed appartenenza politica ha posto la questione all’attenzione di tutti. Sono i frequenti flussi migratori a destare preoccupazioni per i diplomatici italiani, i quali stanno cercando di trovare una soluzione atta a soddisfare le esigenze di tutti.

Non è questa la sede più opportuna per discutere sulla presunta efficacia e le modalità di queste misure, o per analizzare le proposte fatte in merito. Possiamo però dire che difficilmente l’essere umano è in grado di apprendere le lezioni che la storia gli sottopone, e spesso si ostina a brancolare nel buio o a percorrere strade dalle mete incerte, invece di vedere come gli uomini che ci hanno preceduto si sono regolamentati su questioni analoghe.

Erano sicuramente tempi diversi e i numeri erano molto più contenuti rispetto a quelli di oggi, quindi è sempre indispensabile un’opera di contestualizzazione, ma i Borbone delle Due Sicilie avevano archiviato la pratica con una legge diretta e coincisa varata il 17 dicembre 1817.

Questo il testo del documento: ”Ferdinando I, Per la grazia di Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza, Castro, Gran Principe ereditario di Toscana”, è la sequenza dei titoli che precedono il testo della legge che, sin dal preambolo, chiarisce che a poter beneficiare della concessione della cittadinanza potranno essere solo chi è utile allo Stato:

“Volendo dare un attestato della nostra benevolenza verso di quegli stranieri i quali pe’ loro talenti, pe’ loro mezzi, o per via di contratti vincoli si rendono giovevoli allo Stato, con accordar loro il godimento di quei diritti, che dalla naturalizzazione risultano. Abbiamo risoluto di sanzionare, e sanzioniamo la seguente legge”.

Nell’articolo I si precisa che “potranno essere ammessi al beneficio della naturalizzazione del nostro Regno delle Due Sicilie”, nell’ordine:
1. Gli stranieri che hanno renduto, o che renderanno importanti servizi allo Stato;
2. Quelli che porteranno dentro lo Stato de talenti distinti, delle invenzioni, o delle industrie utili;
3. Quelli che avranno acquistato nel regno beni stabili, sui quali graviti un peso fondiario almeno di ducati cento all’anno.
Al requisito indicato né suddetti numeri 1, 2, 3 debbe accoppiarsi l’altro del domicilio nel territorio del regno almeno per un anno consecutivo.
4. Quelli che abbiano avuta la residenza nel regno per dieci anni consecutivi, e che provino avere onesti mezzi di sussistenza; o che vi abbiano avuta la residenza per cinque anni consecutivi, avendo sposata una nazionale”.

Fonte:

– Magdi Allam sul Corriere della Sera del 10 marzo 2008

 

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