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cronaca

La grande guerra dei no che ha piegato il Salento

fonte quotidianodipuglia.it

Il Salento e la guerra dell’umido. Da una parte i sindaci che lamentano la scarsezza di impianti e dall’altra la Regione che se la prende con gli amministratori, incapaci di trovare un accordo sulla realizzazione di un impianto. In mezzo c’è un territorio che rischia di implodere: quando tra qualche mese (così come promesso dai diversi Aro) la raccolta dell’organico sarà a regime, si aprirà un grosso punto interrogativo. Dove andranno le 140mila tonnellate di umido che verranno prodotte ogni anno? L’Ager rassicura che non ci saranno problemi. Ma qualche timore, più che legittimo, c’è, visto che già ora – con quasi la metà dei comuni salentini che ancora non differenzia l’organico – i problemi ci sono. Eccome.

Con i rifiuti che fanno il giro della regione alla ricerca di qualcuno che possa smaltirli. Con i sindaci costretti a emettere ordinanze (contro le ordinanze della Regione) per stoppare i rifiuti che nel Salento arrivano anche da Brindisi, come ha fatto il sindaco di Poggiardo e come ha fatto il sindaco di Cavallino. Qualche timore c’è anche perché alcuni comuni che – coscientemente – hanno dato avvio alla raccolta dell’umido si vedono poi costretti, ad esempio, a conferire a Poggiardo, che non tratta certamente l’organico e che vede l’umido (differenziato dai cittadini) riunirsi all’indifferenziato.

Il peccato originale – nella guerra dell’umido – è principalmente uno: non esistono nel Salento impianti di compostaggio (come non esistono discariche). E allora – poi – il ciclo dei rifiuti ci mette nulla a saltare. A dire il vero, spesso e volentieri salta anche nella stessa regione dove dei sette impianti di compostaggio esistenti (quelli che trattano l’organico, per intenderci) solo tre sono attualmente funzionanti: il Tersan di Modugno, l’Eden di Manduria e il Progeva di Laterza. Del tutto insufficienti ad accogliere l’umido che proviene dall’intera Puglia, così la soluzione che resta è spedire i rifiuti fuori regione con un aggravio non indifferente dei costi. Si tratta, poi, di impianti tutti privati che operando in un regime quasi di monopolio tengono per il colletto i Comuni (che se non raggiungono una percentuale di differenziata devono fare i conti con l’ecotassa) determinando le tariffe senza confrontarsi con altri competitor, ad esempio pubblici.

Quindi quando i 97 comuni salentini saranno tutti virtuosi e tutti e 97 divideranno l’organico si avrà, come detto, una produzione di 140mila tonnellate di rifiuti (60mila dall’ex Ato Le1, 45mila dall’ex Ato Le/2, 35mila dall’ex Ato Le/3). Il costo di smaltimento (tra lavorazione vera e propria, pulitura del rifiuto e trasferimento) si aggira oggi nel Salento intorno a 190 euro per tonnellata. Un costo che, naturalmente, sarebbe molto più basso se i rifiuti non dovessero lasciare la provincia di Lecce: sarebbe intorno agli 85 euro a tonnellata, meno della metà. Questa, ad esempio, sarebbe la tariffa che è pronta a proporre Metapulia, che ha presentato un progetto per un impianto nella zona industriale di Lecce e che ora attende il via dalla Conferenza dei servizi. Chissà.

Ma niente, per ora l’organico sembra destinato a varcare almeno la soglia della provincia. E se è vero, come sostiene la Regione, che i Comuni salentini hanno fatto le barricate ogni volta davanti a qualsiasi progetto, è anche vero che un po’ di tempo fa (nei primi mesi del 2018) fu la Regione a dire no ad un progetto dell’allora Ato Le/1 che era indirizzato proprio a coprire l’assenza di impianti di compostaggio. Il progetto (22 milioni di euro, finanziamento pubblico) prevedeva la trasformazione delle due cellule di biostabilizzazione dell’impianto di Cavallino in due cellule per il compostaggio. Si arrivò anche al bando e all’assegnazione dell’appalto, ma la Regione fermò tutto perché voleva rimettere in circolo quei soldi all’interno di una pianificazione più ampia dell’impiantistica nella regione. Il piano però non è ancora arrivato in Consiglio regionale. Bisognerà attendere.

Una storia simile ad un’altra. A quella della discarica di Corigliano d’Otranto. Furono spesi allora (soldi pubblici e privati) circa 11 milioni di euro. La discarica venne realizzata ma si alzarono le proteste e non è stata mai aperta. Ma pochi sembrano essersene accorti in questa guerra dei no.