la voce a Sud

blog d'informazione online – attualità, cronaca, notizie, cultura, storia, gastronomia, spettacoli, informazioni, aggiornamenti ed eventi dal territorio

notizie

Messaggi WhatsApp ed sms valgono come prova?

Fonte: laleggepertutti.it

Si può incastrare una persona sulla base di sms e messaggi WhatsApp custoditi dentro la memoria dello smartphone? Immagina che, nel corso di un normale controllo da parte della polizia, un agente ti sequestri il telefonino con tutte le chat e la cronologia delle chat: cosa rischieresti se, dal tenore delle conversazioni, dovessero ravvisarsi gli estremi di un reato? I messaggi WhatsApp ed sms valgono come prova? La risposta è stata fornita proprio in questi giorni dalla Cassazione [1]

La questione si può porre sia sotto un profilo civilistico che penale. Sotto il primo aspetto, i messaggi WhatApp e gli sms ricevuti e inviati potrebbero dimostrare, ad esempio, un rapporto contrattuale e l’esistenza di un debito o di un’obbligazione; oppure l’inadempimento a un obbligo legale, come quello della madre di lasciare che i figli incontrino il padre. Sotto il secondo aspetto, invece, possono venire in rilievo le prove di un crimine come, ad esempio, lo spaccio di droga o un’evasione fiscale particolarmente grossa. 

Messaggi WhatsApp, sms e processo civile

Nell’ambito del processo civile, la giurisprudenza, per quanto tradizionalmente arroccata su posizioni conservatrici e ostica ad aprirsi alla tecnologia, non ha potuto fare a meno di considerare come ormai tutte le conversazioni – dalle più banali alle più importanti – avvengano tramite smartphone e chat istantanee. Non si può, quindi, negare ad esse una certa rilevanza giuridica. Ragion per cui, laddove vi sia la prova dell’avvenuta lettura, i messaggi WhatsApp e gli sms hanno valore di prova

Così più di un giudice ha ritenuto valido il licenziamento intimato tramite un messaggino sul telefono o tramite email semplice se il lavoratore lo ha impugnato o ha informato di ciò i suoi colleghi: il suo comportamento è sintomatico della presa di conoscenza del provvedimento e, quindi, della conseguente possibilità di difendersi. Sicché, la forma scritta, richiesta per la validità della risoluzione del rapporto di lavoro, può ben dirsi rispettata [2]

Anche nell’ambito dei rapporti tra ex coniugi si è ritenuto di accordare valore alle chat. Alcuni provvedimenti di tribunale ammettono la possibilità, per i genitori, di concordare le visite ai figli, di settimana in settimana, anche tramite semplici messaggini. E che dire dei numerosi tradimenti svelati proprio dalle chat? Anche a queste è stato accordato valore di prova.

Il più delle volte, l’sms viene prodotto in tribunale per dimostrare l’esistenza di un rapporto contrattuale, al fine di chiedere un risarcimento o la restituzione di una somma di denaro. 

La possibilità di produrre tali chat è subordinata però alla loro trascrizione da parte di un perito di parte [3]. Naturalmente, l’interessato non deve cancellare la cronologia dei messaggi in modo da metterla a disposizione del giudice ed al vaglio del consulente tecnico d’ufficio (il cosiddetto ctu); quest’ultimo, infatti, deve poter disporre del supporto fisico e dell’originale su cui lavorare. 

Messaggi WhatsApp, sms e processo penale

Qualche anno fa, la Cassazione [4] ha ritenuto valida la prova penale delle chat di WhatsApp custodite nello smartphone a condizione che questo venga consegnato agli inquirenti affinché possano assumere dal dispositivo tutti i dati necessari alle verifiche. La rappresentazione fotografica, infatti, non ha alcun valore senza il supporto materiale che contiene l’originale. È solo con quest’ultimo che si può avere la certezza della effettiva genuinità della stampa. Insomma, le conversazioni contenute nei messaggi WhatsApp ed sms hanno valore legale di prova in giudizio, ma affinché possano essere utilizzati è necessaria l’acquisizione del supporto fisico. Senonché, non tutti sono disposti a lasciare il proprio telefonino – magari nuovo di zecca – alla Procura della Repubblica, specie se si tratta di piccoli reati.

Più di recente, la Suprema Corte [1] ha confermato la natura di prova, nel processo penale, delle chat su WhatsApp. Queste, al pari degli sms, in quanto conservati nella memoria del cellulare, hanno natura di “documenti” per come definiti dal Codice di procedura penale [5]. La relativa attività di acquisizione, quindi, non soggiace alle regole stabilite per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche. I relativi testi possono, infatti, essere ritenuti legittimamente acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione se ottenuti mediante riproduzione fotografica a cura degli inquirenti, il cosiddetto screenshot.

Lo screenshot delle chat su WhatsApp

Lo screenshot fatto dagli inquirenti ha valore diverso rispetto a quello eseguito dalla parte. I primi, infatti, sono pubblici ufficiali e hanno il potere di certificare la corrispondenza della copia all’originale, potere che, invece, il privato non ha. Quindi, lo screenshot prodotto in giudizio dalla parte ha valore documentale solo se non contestato dalla controparte. La contestazione, però, non deve essere generica («Vostro onore, mi oppongo!»), senza cioè spiegare le motivazioni che renderebbero la copia non conforme all’originale. La Cassazione ha, infatti, ribadito più volte che la contestazione della prova fotografica è possibile solo se supportata da fondati motivi (ad esempio, se manca una parte fondamentale del testo come l’indicazione del mittente o la data di spedizione del messaggio).

La testimonianza dei messaggi WhatsApp

Che succede se la chat viene cancellata? La prova della chat può essere acquisita in altro modo, chiamando a testimoniare una persona che ne abbia letto il contenuto prima che lo stesso sparisse dal telefonino. In questo modo, la dichiarazione del teste sotto giuramento entra nel processo confermando il tenore dei messaggi, al pari di qualsiasi altra prova testimoniale.

L’uso degli emoticon

Una interessante sentenza del tribunale di Parma [6] ha riconosciuto l’importante ruolo degli emoticon nell’interpretazione della chat. Difatti, le faccine potrebbero rivelare meglio del testo le intenzioni dell’autore del messaggio. Una minaccia arricchita dalla faccina sorridente, in segno di scherzo, non può essere certamente considerata come seria e, quindi, ricadente nel divieto penale. Lo smile potrebbe anche smorzare l’insulto o la diffamazione.

L’utilizzo frequente delle faccine per il giudice non rende facile comprendere «se alcune frasi vengano dette seriamente o enfatizzate proprio in ragione del contesto deformalizzato e amicale della conversazione». La presenza degli emoticon può evidenziare un tono umoristico del messaggio e, quindi, ridurne la valenza diffamatoria. L’emoticon è in grado di caratterizzare meglio la frase e l’intenzione del suo autore. 

Note:

[1] Cass. sent. n. 1822/20 del 17.01.2020.

[2] Trib. Milano, sent. del 24.10.2017.

[3] Trib. Catania, ord. del 27.06.2017.

[4] Cass. sent. n. 49016/2017.

[5] A sensi dell’art. 234 cod. proc. pen.

[6] Trib. Parma, sent. n. 237/2019.