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cose di giustizia

Processo in absentia: le Sezioni Unite precisano (ulteriormente) i diritti dell’imputato

Fonte: quotidianogiuridico.it

Con la sentenza n. 23948 del 2020, le sezioni Unite penali della Corte di cassazione hanno dato risposta al quesito “se, ai fini della pronuncia della dichiarazione di assenza di cui all’art. 420-bis c.p.p., integri di per sé presupposto idoneo l’intervenuta elezione da parte dell’indagato di domicilio presso il difensore di ufficio nominatogli o, laddove non lo sia, possa comunque diventarlo nel concorso di altri elementi indicativi con certezza della conoscenza del procedimento o della volontaria sottrazione alla predetta conoscenza del procedimento o di suoi atti”.Cassazione penale, sezioni Unite, sentenza 17 agosto 2020, n. 23948

La soluzione
La sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’articolo 420-bis c.p.p., dovendo il giudice in ogni caso verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso.
I precedenti
Cassazione penale, sez. I, sentenza 31 marzo 2017 n. 16416In tema di processo celebrato in assenza dell’imputato, la conoscenza dell’esistenza del procedimento penale a carico dello stesso non può essere desunta da un atto compiuto d’iniziativa della polizia giudiziaria in epoca anteriore alla formale instaurazione del procedimento, che si verifica soltanto con l’iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato possa essere desunta dai rilievi foto-segnaletici compiuti dalla polizia giudiziaria nell’ambito di accertamenti aventi ad oggetto l’illecito di cui all’art. 14, comma 5-quater, del D.Lgs. n. 289 del 1998, prima della formale iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato).
Cassazione penale, sez. I, sentenza 27 febbraio 2017 n. 9441In tema di processo celebrato in assenza dell’imputato, la conoscenza dell’esistenza del procedimento penale a carico dello stesso non può essere desunta dalla elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata, nell’immediatezza dell’accertamento del reato, in sede di redazione del verbale di identificazione d’iniziativa della polizia giudiziaria.
Cassazione penale, sez. IV, sentenza 7 settembre 2017 n. 40848In tema di processo “in assenza”, è valida la notificazione all’imputato presso il difensore d’ufficio domiciliatario, indicato nel corso delle indagini preliminari, in ragione della presunzione legale di conoscenza del procedimento prevista dall’art. 420-bis c.p.p., superabile solo nel caso in cui risulta (ai sensi del successivo art. 420-ter, comma 1, c.p.p.) che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento.
Cassazione penale, sez. IV, sentenza 2 novembre 2018 n. 49916In tema di rescissione del giudicato, deve escludersi l’incolpevole mancata conoscenza del processo, con conseguente inammissibilità del ricorso di cui all’art. 629-bis, comma 3, c.p.p., nel caso in cui risulti che l’imputato abbia, nella fase delle indagini preliminari, eletto domicilio presso il difensore di ufficio, derivando da ciò una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a procedere in assenza dell’imputato, sul quale grava l’onere di attivarsi per tenere contatti informativi con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento.(Fattispecie nella quale l’indagato aveva eletto domicilio presso il difensore d’ufficio nel verbale di identificazione redatto al momento della sottoposizione a controllo da cui era scaturito il procedimento per il reato di cui all’art. 187, comma 8, cod. strada).

Il caso e la questione di diritto

Nel caso sottoposto all’esame della prima sezione della Corte di cassazione, l’imputato, extracomunitario, era stato sottoposto ad identificazione dopo lo sbarco da parte della Squadra Mobile, ed in tale occasione aveva dichiarato false generalità. Conseguentemente nel verbale, premesso che si sarebbe aperto a suo carico un procedimento per la violazione dell’art. 12, comma 3, legge n. 286 del 1998, preso atto che questi aveva dichiarato di essere privo di difensore di fiducia, gli era stato nominato il difensore d’ufficio, presso il cui studio l’interpellato aveva eletto domicilio.

Impugnata dal difensore di ufficio la decisione di primo grado che aveva giudicato e condannato il predetto in absentia, la Corte territoriale ha ritenuto che la dichiarazione di domicilio effettuata presso il difensore di ufficio in sede di redazione del verbale di identificazione non fosse idonea a far desumere la conoscenza dell’esistenza del procedimento penale a carico del dichiarante.

Pertanto, affermato che non erano si erano maturate le condizioni previste dall’art. 420-bis c.p.p. per procedere in absentia, la Corte aveva dichiarato la nullità assoluta e insanabile della sentenza, sostenendo che non si potesse evitare tale conseguenza per il solo fatto che il giudizio si fosse svolto con l’assistenza del difensore e che questi avesse proposto impugnazione, perché era stata preclusa all’imputato la possibilità di partecipare al giudizio e di presentare motivi personali di appello.

Avverso tale sentenza è stato proposto ricorso da parte del Procuratore generale, che ha sostenuto l’erronea dipendenza della conoscenza effettiva del procedimento a un atto del tutto formale, quale l’iscrizione nel registro delle notizie di reato.

Il Collegio ha preso atto che i motivi di ricorso ponevano la quaestio iuris relativa alla legittimità della celebrazione del processo in absentia nei confronti dell’imputato, la cui dichiarazione di assenza, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 420-bis c.p.p., si sia fondata sul presupposto che l’indagato abbia eletto il domicilio presso il difensore di ufficio, particolarmente nell’ipotesi in cui tale elezione sia avvenuta all’atto della sua identificazione da parte della polizia giudiziaria, con corrispondente nomina del difensore di ufficio, su cui sussisteva un contrasto di giurisprudenza.

Un primo orientamento sosteneva che in tema di processo celebrato in assenza dell’imputato, la conoscenza dell’esistenza del procedimento penale a carico dello stesso non può essere desunta dall’elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata, nell’immediatezza dell’accertamento del reato, in sede di redazione del verbale di identificazione d’iniziativa della polizia giudiziaria, in epoca anteriore alla formale instaurazione del procedimento, che si verifica soltanto con l’iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini nel registro di cui all’art. 335 c.p.p.

A sostegno di tale opzione interpretativa si osservava che, dopo la legge n. 67 del 2014, che ha eliminato l’istituto della contumacia, regolando il processo in assenza dell’imputato, va verificata la sussistenza o meno delle categorie di situazioni legittimanti, ai sensi dell’art. 420-bis c.p.p., la celebrazione del processo senza la presenza dell’imputato, atteso che, qualora non si sia integrata nessuna delle predette situazioni, il processo deve essere sospeso, ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p.

La questione diviene così la individuazione della soglia sopra la quale si possa ritenere acquisita la conoscenza dell’udienza o del procedimento da parte dell’imputato.

In proposito l’orientamento in esame ricordava il contenuto essenziale sovranazionale del diritto di difesa dell’imputato, ed in particolare i seguenti princìpi:

a) l’imputato ha il diritto di esser presente al processo svolto a suo carico;

b) lo stesso può rinunciare volontariamente all’esercizio di tale diritto;

c) l’imputato deve essere consapevole dell’esistenza di un processo nei suoi confronti;

d) devono esistere strumenti preventivi o ripristinatori, per evitare processi a carico di contumaci inconsapevoli o per assicurare in un nuovo giudizio.

Con due ulteriori precisazioni: la prima che, in materia penale, un’informazione precisa e completa delle accuse a carico dell’imputato, e dunque la qualificazione giuridica che la giurisdizione enuncia nei suoi confronti, costituisce la condizione fondamentale dell’equità del processo. La seconda che, mentre la nomina di un difensore di fiducia induce a ritenere una conoscenza del procedimento sufficientemente idonea a legittimare il prosieguo, non può affermarsi altrettanto allorquando la difesa sia affidata a un difensore di ufficio.

In questa ottica si era affermato che l’effettiva conoscenza del procedimento non possa farsi coincidere con la conoscenza di un atto posto in essere di iniziativa dalla polizia giudiziaria anteriormente alla formale instaurazione dello stesso procedimento, che si realizza solo con l’iscrizione del nome della persona sottoposta a indagini nel registro degli indagati. Così come che la garanzia dell’elezione di domicilio, effettuata al momento dell’identificazione e riferita al difensore di ufficio contestualmente nominato, non sia tale da integrare la situazione legittimante la declaratoria di assenza.

Altro orientamento riteneva che fosse valida la notificazione all’imputato presso il difensore d’ufficio domiciliatario, indicato nel corso delle indagini preliminari, in ragione della presunzione legale di conoscenza del procedimento prevista dall’art. 420-bis c.p.p., la quale è superabile soltanto nel caso in cui risulti, ai sensi del successivo art. 420-ter, comma 1, c.p.p., che l’assenza è stata determinata da assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento.

In merito si aggiungeva che soltanto le ipotesi, regolate dal comma 1, inerenti alla certezza dell’impedimento, siano passibili di denuncia per violazione di legge, mentre, quando a investire il giudice sia non la certezza ma soltanto il dubbio, la stessa norma prevede, nel comma 2, ultima parte, che tale dubbio sia liberamente valutato dal giudice medesimo, senza poter formare oggetto di discussione successiva, né di motivo di impugnazione.

Pertanto, si era sostenuto che dovesse escludersi l’incolpevole mancata conoscenza del processo nel caso in cui risultasse che l’imputato abbia ricevuto notizia del procedimento nella sola fase investigativa, e non anche in quella processuale.

Si era poi ulteriormente aggiunto che nel caso l’imputato fosse stato difeso dall’avvocato presso il quale aveva eletto domicilio, non poteva certo dirsi che l’assenza in giudizio fosse stata causata da un’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, atteso che con l’ordinaria diligenza l’interessato avrebbe potuto avere tutte le necessarie informazioni sul processo.

L’ordinanza di rimessione, i cui estensori mostravano di privilegiare la prima delle due opzioni, ricordava nella sua motivazione la sentenza della Corte costituzionale n. 31 del 2017, dalla quale si ricava che la compatibilità tra le disposizioni costituzionali e convenzionali e la possibilità di procedere in assenza sussiste con certezza soltanto ove si accerti l’esistenza di un rapporto di informazione tra il legale, anche quando esso sia nominato di ufficio, e l’assistito.

In questa ottica va poi aggiunta la lettura del nuovo comma 4 bis dell’art. 162 c.p.p., introdotto ad opera dell’art. 1 legge 23 giugno 2017, n. 103, secondo il quale “l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non ha effetto se l’autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l’assenso del difensore domiciliatario”.

La sezione aveva pertanto ritenuto, con ordinanza del 29 gennaio 2019, depositata il 1° marzo 2019, n. 9114, che fosse indispensabile un intervento delle Sezioni Unite per vedere affrontata la questione: se per la valida pronuncia della dichiarazione di assenza di cui all’art. 420-bis c.p.p., integri presupposto sufficiente il fatto che l’indagato abbia eletto il domicilio presso il difensore di ufficio, oppure tale elezione non sia di per sé sufficiente e se, in questo caso, possa tuttavia diventarlo sulla base di altri elementi che convergano nel far risultare con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento stesso o di atti del medesimo.

Esigenza condivisa dal Primo Presidente Aggiunto, che, con decreto del 21 marzo 2019 aveva conseguentemente fissato l’udienza del 27 giugno 2019, poi spostata al 24 ottobre 2019, per la soluzione della questione.

La decisione delle sezioni Unite

Le Sezioni Unite hanno ripercorso l’evoluzione normativa in tema di garanzie della partecipazione effettiva dell’imputato al processo penale, ricordando come la prima occasione di seria riforma di questo sistema sia stata rappresentata dalla decisione Corte EDU, 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, che ha ritenuto la inadeguatezza delle regole di conoscenza legale rispetto alle esigenze di un giusto processo.

Una decisione che ebbe un diretto rilievo nella elaborazione delle regole in tema di contumacia, irreperibilità e rimessione in termini del codice di procedura penale del 1989, con il quale si superava il rigore della presunzione legale di conoscenza del sistema delle notifiche.

Permaneva, però, un ambito di prevalenza della presunzione legale della conoscenza del processo in caso di notifica mediante consegna dell’atto al difensore, atteso che non vi era alcuna differenziazione tra difensore di fiducia e difensore di ufficio.

Peraltro, il codice del 1989 aggiungeva la previsione dell’art. 175 c.p.p., che consentiva di provare la non conoscenza della sentenza, anche nel caso di notifica presso il difensore.

Tale sistema è stato successivamente modificato, in quanto giudicato inadeguato ai principi del processo equo dalla Corte EDU, con la sentenza 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia, ove si affermava l’esistenza di un obbligo, derivante dalla Convenzione, di procedere solo nei confronti di chi abbia l’effettiva conoscenza del processo; così come di un obbligo di prevedere un meccanismo riparatorio consistente nell’assicurare al soggetto giudicato in contumacia un nuovo grado di giurisdizione di merito.

Immediatamente dopo, con il decreto-legge n. 17 del 2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 60 del 2005, erano apportate le modifiche minime apparse necessarie. Così, con il nuovo articolo 175 c.p.p., la persona condannata in contumacia, se non informata “effettivamente” del “procedimento”, aveva diritto incondizionato al nuovo processo. Al contempo la contestuale modifica del sistema di notifica presso il difensore di fiducia con l’introduzione dell’art. 157, comma 8-bis, c.p.p. codificava anche il principio di netta differenziazione tra difesa di fiducia e difesa di ufficio, sulla considerazione che solo la prima, di norma, garantisce all’imputato l’adeguata informazione sull’andamento del processo.

Così la nuova disciplina della restituzione in termini introduceva da un lato il diritto incondizionato alla restituzione nel termine per impugnare la sentenza resa in contumacia, dall’altro la possibilità di negarla solo in caso di prova positiva della conoscenza “effettiva” del procedimento o del provvedimento.

Successivamente, con la legge 28 aprile 2014, n. 67 viene riconosciuto il pieno diritto dell’imputato di non partecipare al processo, con l’introduzione del processo in assenza “volontaria” dell’imputato (e nel caso in cui non sia acquisita la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio, il processo viene sospeso).

La decisione passa poi in esame le regole portanti del nuovo sistema processuale, ricordando il dettato dell’art. 420-bis c.p.p., “Assenza dell’imputato”, che al primo comma prevede che si proceda in assenza se vi è stata espressa rinuncia da parte dell’imputato e, al secondo comma, che “… il giudice procede altresì in assenza dell’imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza ovvero risulti comunque con certezza che Io stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo”. Con la previsione che se non ricorrono le condizioni dell’art. 420 -bis c.p.p., “…. il giudice rinvia l’udienza e dispone che l’avviso sia notificato all’imputato personalmente”.

Uno dei punti fondamentali della decisione in commento è l’analisi dei cosiddetti indici di conoscenza del processo, ovvero:

– la dichiarazione od elezione di domicilio;

– l’applicazione di misure precautelari che abbiano portato alla udienza di convalida o la sottoposizione a misura cautelare;

– la nomina di un difensore di fiducia.

Le Sezioni unite affermano con fermezza che ove le si intendesse come “presunzioni” nel senso più pieno, si dovrebbe affermare che il sistema è regredito alla situazione ante 1988, in quanto la regressione andrebbe addirittura oltre la riforma del 2005, atteso che l’attuale sistema, letto nei termini di (re)introdurre presunzioni di conoscenza del procedimento a fronte di notifiche regolari, non prevede neanche la possibilità che il giudice valuti «probabile che l’imputato non ne abbia avuto effettiva conoscenza”.

La Corte afferma pertanto che non è in alcun modo sostenibile che gli indici dell’art. 420-bis c.p.p. siano forme di presunzioni.

Dopo una opportuna precisazione sulla irrilevanza in questo ambito della dicotomia procedimento/processo, in quanto la terminologia legislativa fa un uso generale e promiscuo del termine “procedimento” con il quale non intende affatto indicare espressamente una nozione più ampia di quella di “processo”, si sottolinea che la elezione domicilio debba essere “seria” e reale, dovendo essere apprezzabile un rapporto tra il soggetto ed il luogo presso il quale dovrebbero essere indirizzati gli atti.

Per quanto attiene al secondo indice, l’applicazione di una misura cautelare, la disposizione va letta nel senso di un riferimento al caso in cui vi sia il regolare compimento del procedimento cautelare o precautelare, che prevede sempre il contatto con il giudice e la contestazione specifica degli addebiti.

Anche per il terzo indice, la nomina del difensore di fiducia, la decisione evidenzia che questa va letta nel senso di effettività, con il presupposto di un regolare rapporto informativo tra difensore ed assistito, in presenza di una nomina accettata. In proposito si richiamano le affermazioni della Corte costituzionale, per la quale l’elezione di domicilio presso il difensore di ufficio può ritenersi efficace, al fine non solo della regolarità formale della notifica ma per poter avere la certezza che l’atto così notificato giunga a conoscenza del destinatario, solo quando vi sia un effettivo collegamento tra la persona ed il luogo eletto.

In considerazione di quanto sopra è stato affermato il seguente principio di diritto: “La sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’articolo 420-bis c.p.p., dovendo il giudice in ogni caso verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso.”

Riferimenti normativi:

Art. 161 c.p.p.

Art. 175 c.p.p.

Art. 335 c.p.p.

Art. 420 bis c.p.p.

Art. 429 ter c.p.p.