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Attacco frontale della Coldiretti ai cormorani: dopo cinghiali, lupi e lepri

Fonte: senzacolonnenews.it

Ammetto di aver trasecolato, l’altro giorno, leggendo il comunicato, che ha avuto vasta eco nella stampa a livello non solo locale ma, riportato dall’Ansa, anche da parte di testate giornalistiche di portata nazionale come Repubblica e Corriere della Sera, oltre che sul nostro Quotidiano, della Coldiretti Puglia che prende di mira, demonizzandoli, niente meno che i Cormorani, colpevoli, addirittura, di aver impoverito il nostro mare, portando al collasso chi vive di pesca.
La prima cosa che mi è venuta in mente è la piccante e lapidaria frase che Antonio de Curtis principe di Bisanzio, in arte Totò, ebbe a pronunciare al cospetto dell’Onorevole Trombetta per tacitarne l’alterigia: “ma mi faccia il piacere!!!”.
Ecco, demonizzare il Cormorano, facendo passare questo placido uccello marino per un famelico predatore, accusarlo di aver invaso le nostre coste ed i nostri mari, mettendoci di mezzo la tropicalizzazione quando anche un ragazzino alle prime nozioni di scienza e biologia sa che si tratta di una specie autoctona, da sempre presente sulle nostre coste e non certo spinta nel Mediterraneo dal riscaldamento globale, la dicono tutta sulla pochezza di profondità delle argomentazioni di chi preferisce prendersela con la natura pur di non fare un po’ di sana e costruttiva autocritica.
Dalla maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura in Italia, capace di tante buone battaglie, mi sarei aspettato un ben diverso approccio con il problema, magari partendo da un punto certo su cui l’intero mondo scientifico è d’accordo, vale a dire che l’impoverimento, cioè la ridotta pescosità dei nostri mari, non è dovuta ad un flagello esterno come viene dipinto questo povero e simpatico uccello marino, bensì alla eccessiva attività predatoria dell’uomo, alla cementificazione selvaggia delle coste, all’inquinamento del mare e dei corsi d’acqua interni non solo ad opera delle grandi industrie ma anche per il comportamento incivile di una marea sterminata di zozzoni della domenica. Insomma, non è colpa del bipede alato di appena tre chili di peso che mangia pescetti da milioni di anni, se il suo territorio di caccia, da qualche secolo a questa parte, è stato invaso e seviziato da un insaziabile bipede senza ali e con poco senno che pensa che tutto gli è dovuto e che non rispettando le leggi della natura pensa che sia questa a doversi sottomettere e piegarsi al suo volere.
Visto l’attacco a gamba tesa che stanno subendo questi poveri uccelli marini che, di inverno, stazionano anche sulla costa brindisina, non avendo, loro, il dono della parola – altrimenti chissà quante ne avrebbero da dirci – mi sento in dovere di fargli da avvocato d’ufficio e spendere qualche ragionamento in loro difesa, non prima, però, di descriverne la bellezza, le abitudini ed i luoghi che frequentano quando stanno dalle nostre parti.
Elegante ed aerodinamico, anche se all’apparenza sgraziato, il Cormorano (Phalacrocorax carbo) è facilmente distinguibile per la caratteristica posa ad ali semiaperte, che assume per asciugare al sole il piumaggio nero e che tanto ricorda Batman, l’uomo pipistrello dei fumetti. Quando vola, presenta una tipica forma a croce ed è probabilmente per questo che nei paesi nordici è considerato un animale sacro e di buon auspicio ed in molte vecchie leggende della marineria scandinava i cormorani sono considerati la reincarnazione delle anime dei morti in mare e come tali sono guardati con rispetto e, quasi, devozione. Si spostano solitamente in stormi di pochi individui, al massimo un centinaio e, al tramonto, è loro abitudine radunarsi in “dormitori” in zone umide poco frequentate dall’uomo.
A metà del secolo scorso il Cormorano si era quasi estinto a causa dell’uccisione sistematica perpetrata dall’uomo e dall’uso massiccio del famigerato D.D.T., il pericoloso insetticida utilizzato nel dopoguerra per combattere le zanzare, prima che si scoprisse la sua dannosità anche per l’uomo, e che aveva contaminato le aree umide frequentate anche dagli uccelli acquatici. Nel 1970, quando in Europa cominciò a porsi il problema della loro tutela, ne erano rimaste appena 4.000 coppie, poi, pian piano, il trend si è invertito ed ora si stima che siano almeno 500.000 le coppie riproduttive presenti nel Vecchio Continente, di cui nemmeno un decimo frequenta le coste italiane mentre, in Puglia, secondo gli ultimi dati disponibili sono all’incirca 7.000 i cormorani svernanti.
A Brindisi, il loro arrivo, segna, per la gente di mare, l’inizio del periodo invernale mentre quando vanno via è segno che la buona stagione è ormai alle porte.
È facile incontrarli non solo sulla litoranea nord, sugli scogli prospicienti il Serrone e la Torre di Punta Penne, ma anche in area portuale, appollaiati sui bassi scogli fra l’Isola di Sant’Andrea e la diga di punta Riso, in compagnia di gabbiani, svassi e beccapesci, sulle isole Pedagne, alla foce di Fiume Grande a far da balia a piovanelli pancianera, voltapietre ed altri limicoli ed anche nel porto interno, alla foce del Canale Cillarese dove convivono pacificamente con folaghe ed anatre germanate oltre che con gli immancabili gabbiani. Alcuni esemplari frequentano abitualmente i laghetti del parco urbano dove sono diventati un’attrazione per i bambini, altri stazionano abitualmente sul relitto abbandonato del pontone Tenax davanti alle ex spiagge Fontanelle-Marimisti, altri ancora sul vecchio relitto albanese arenatosi trenta anni fa sulle secche di Punta Cavallo. Un po’ prima del tramonto si alzano in volo ed alcuni gruppi si spostano verso l’Invaso del Cillarese, dove trovano altri consimili, oltre che numerosi altri uccelli acquatici, altri verso le saline di Punta della Contessa dove si radunano più di un centinaio di individui, quelli che abitualmente frequentano la zona costiera a sud della città, per passare la notte in compagnia di anatre, aironi e fenicotteri.
Va detto che, contrariamente a come vuol fare intendere chi auspica lo sterminio di questa specie – attraverso una decimazione da attuare sia attraverso il loro inserimento fra le specie cacciabili che attraverso campagne di abbattimento sistematico ad opera di cacciatori e guardie venatorie – che i cormorani dedicano ben poco del loro tempo alla ricerca del nutrimento, non sono bestie assatanate che si ingozzano all’inverosimile, ma mangiano lo stretto necessario per vivere e prosperare, passando il resto della giornata a godersi pigramente i deboli raggi del sole invernale e la brezza marina, sistemandosi il piumaggio.
Pensare che possano essere causa o concausa della riduzione del pesce nei nostri mari o fingere che non siano sufficienti reti e dissuasori per evitare che vadano a nutrirsi nei bacini dove vengono allevate specie ittiche a scopo alimentare, non ha alcun fondamento dal momento che la quantità di pesce che possono ingerire nell’arco dell’inverno, che è il periodo in cui frequentano maggiormente i nostri mari ed i nostri specchi acquei, è paragonabile, ad una goccia in confronto all’oceano. Come anche non ha alcun fondamento logico ipotizzare, nelle stime dei danni che vengono predisposte, che tutto il pesce che ingurgita in un mese un singolo esemplare adulto di Cormorano, cioè circa 10 chilogrammi (compreso di testa, squame, lisca e interiora) sarebbe stato altrimenti pescato e venduto.
Sinceramente ho difficoltà a pensare che i cefali mberdaluri che i nostri cormorani catturano nel porto interno o in quello industriale, vengono sottratti alla pesca professionale o sportiva, come anche mi sembra oltremodo improbabile che proprio quell’alice o quel saraghetto che il nostro amico Cormorano è andato a catturare un paio di miglia al largo di punta del Serrone, avrebbe abboccato alla lenza di qualcuno ed anche che la piccola ed ignara carpa del Cillarese, divorata da questo nero mostro alato, ben difficilmente sarebbe mai potuta finire sulle nostre tavole.
Appunto una goccia nell’oceano che non giustifica in alcun modo la demonizzazione di una intera specie di cui si auspica lo sterminio.
Inoltre non sono pochi gli studiosi che sostengono, dati alla mano, che l’abbattimento sistematico di esemplari di una certa specie, considerata predatoria, per far aumentare la fauna ittica, nel caso dei cormorani, essendo una specie nostrana e non importata dall’uomo, non sortirebbe alcun effetto pratico. Trattandosi infatti di una specie coloniale, il vuoto che verrebbe lasciato dagli esemplari uccisi, sarebbe immediatamente colmato da altri esemplari, che si aggregherebbero al gruppo per venire a svernare sulle nostre coste, attratti dalle risorse che madre natura mette a disposizione di tutte le sue creature e non solo dell’uomo, che si erge a padre-padrone della natura stessa.
E nel caso in cui, per assurdo, tutti quanti i cormorani venissero sterminati, ci sarebbero altre specie predatorie che trarrebbero vantaggio da questa minore concorrenza ed aumenterebbero di numero fino a sostituirsi a quelli estinti e, poi, non vorrei che si cominciasse a parlare degli aironi killer che insidiano il pesce provocando danni incalcolabili al settore ittico, debellati questi si dichiarasse guerra ai gabbiani ed agli altri uccelli marini che da sempre popolano il Mediterraneo, fino a prendersela, infine, con il più piccolo e sparuto Martin pescatore reo di catturare i latterini fino a privare con la sua ingordigia i pesci più grossi del necessario alimento per prosperare e raggiungere lo scopo della loro vita, essere, cioè, pescati dall’uomo!
Certo è che fino a quando si cercheranno, in un clima di caccia alle streghe ed agli untori, alibi per non ammettere che il problema più grosso per l’uomo moderno è l’uomo stesso con il suo modo insostenibile di approcciarsi alla natura e sfruttarla fino allo sfinimento delle risorse, sarà difficile che qualche specie animale, compreso l’uomo stesso, se la possa cavare.
Non a caso, infatti, il comunicato di Coldiretti, dopo aver maledetto il cormorano, conclude accennando alle altre battaglie di civiltà contro gli enormi danni causati dalla fauna selvatica in Puglia, con i cinghiali ed i lupi che distruggono le coltivazioni e attaccano gli uomini e gli animali allevati, gli storni che azzerano le coltivazioni di olive e distruggono le piazzole, le lepri che divorano letteralmente interi campi di ortaggi. Manca solo l’accenno alle volpi ed alle donnole che fanno stragi di galline, per completare la lista di proscrizione che in alcune regioni settentrionali ricomprendono anche i terribili caprioli oltre che gli odiatissimi orsi.
Con tutto il rispetto per chi lavora nei campi e nel mare, la maggior parte dei quali, probabilmente, nemmeno condivide il drastico diktat della Coldiretti, è il caso di ricordare che esistono anche fondi regionali per risarcire i coltivatori dei danni che certamente fossero stati arrecati dalla fauna selvatica. E va anche precisato che, trattandosi di una specie protetta da convenzioni internazionali, la sua cattura o uccisione è severamente punita dalla legge.
Per quanto riguarda il resto, mi permetto di evidenziare che scorciatoie e formule magiche non ce ne sono, ma una lunga strada da seguire certamente si e se si vuole che i nostri mari e i nostri corsi d’acqua tornino ad essere pescosi, il ruolo dell’uomo, in questo percorso virtuoso, non dovrà più esser quello di sfruttatore, bensì di custode del creato, da preservare e far prosperare a beneficio delle future generazioni.
Parafrasando un film cult di quarant’anni fa con protagonisti Bud Spencer e Terence Hill, in cui i nostri due eroi, a suon di cazzotti, salvarono una gran quantità di animali selvatici dalle grinfie dei trafficanti senza scrupoli, restituendoli alla libertà nella savana africana, mi vien da concludere con un bel: “Io sto con i cormorani”.