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Avvocati in regime di monocommittenza: la proposta di legge

Fonte: altalex.com

L’avvocato che ha come unico cliente lo studio legale, presso cui esercita la propria attività, si trova in una condizione che oscilla tra libera professione e lavoro dipendente, senza i vantaggi della prima né le garanzie del secondo

Di Marcella FerrariProfessionista – Avvocato

Gli avvocati che hanno come unico cliente lo studio legale, presso cui esercitano la propria attività, si trovano in regime di monocommittenza. La loro condizione oscilla tra la libera professione e il lavoro dipendente. Tuttavia, non godono dei vantaggi della prima né delle garanzie del secondo.

Per questa ragione, si è giunti ad una proposta di legge volta a colmare il vuoto di tutela attualmente esistente.

SommarioCosa significa monocommittenza?La diffusione del fenomenoEsistono due categorie di avvocati?La necessità di un intervento normativoLa professione di avvocato è incompatibile con il lavoro subordinatoLa proposta di leggeLe garanzie per l’avvocato-collaboratore e per il committenteL’avvocato-collaboratore è una figura esistente solo in Italia?

Cosa significa monocommittenza?

Con l’espressione “monocommittenza” ci si riferisce ad un fenomeno molto diffuso nel mondo forense, vale a dire la situazione in cui si trova il singolo avvocato che svolge la sua prestazione professionale esclusivamente in favore di un unico committente, solitamente, uno studio legale o un’associazione professionale.

In buona sostanza, gli avvocati in regime di monocommittenza prestano la loro attività a vantaggio di altri studi professionali, poiché non hanno una clientela propria e un loro ufficio.

La diffusione del fenomeno

Secondo i dati elaborati dalla Cassa forense, la monocommittenza riguarda oltre 30 mila professionisti.

Le ragioni della diffusione del fenomeno sono note: un giovane avvocato, che si affaccia alla professione, raramente dispone di una solida clientela che gli consenta di sopportare i costi per mantenere un ufficio. Per tale motivo, il legale monocommittente sceglie di diventare collaboratore e di offrire la propria professionalità ad un collega che ha i mezzi per sostenere uno studio.

Esistono due categorie di avvocati?

La situazione di fatto, attualmente esistente nel nostro Paese, fotografa due tipi avvocati: i titolari degli studi professionali e i collaboratori.

La realtà è che, in Italia, circa 1/8 degli esercenti la professione svolge la propria attività in modo parasubordinato, senza alcuna tutela giuridica. Infatti, i collaboratori, esattamente come un lavoratore parasubordinato, sono tenuti al rispetto di un orario di lavoro e ottengono una retribuzione mensile forfettaria, ma restano privi delle garanzie che ne derivano.

La necessità di un intervento normativo

I collaboratori degli studi professionali, grandi o piccoli, vivono una situazione di precarietà, non hanno prospettive di crescita professionale, né una congrua retribuzione o tutela previdenziale.

Tale situazione è stata riconosciuta dall’ultimo Congresso Nazionale Forense, che ha incaricato gli Organismi di rappresentanza di attivarsi, affinché la materia venga disciplinata dal legislatore. In particolare, in quella sede, è stata chiesta l’introduzione di una normativa che garantisca un livello minimo di tutele, vista anche l’estensione del fenomeno.

La professione di avvocato è incompatibile con il lavoro subordinato

La legge professionale forense (art. 18 c. 1 lett. d) Legge n. 247/2012) stabilisce il divieto di esercizio di lavoro con vincolo di subordinazione per gli esercenti la professione forense. Tale previsione mira a garantire la libertàl’indipendenza e l’autonomia dell’avvocato.        

Il “jobs act” (D.Lgs. n. 81/2015) disciplina i rapporti di collaborazione, ma esclude dal suo ambito applicativo proprio le attività prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali. Di queste ultime, invece, si occupa il cosiddetto “jobs act degli autonomi” (Legge n. 81/2017), avente ad oggetto la tutela della posizione dei lavoratori autonomi che si trovano in posizione di dipendenza economica rispetto ai propri committenti. Si tratta di una disciplina di carattere generale, non specificamente rivolta alla peculiare attività svolta dagli avvocati. Infatti, è necessario che i legali, per esercitare il diritto costituzionale di difesa, godano di indipendenza, autonomia di giudizio e d’iniziativa.

La proposta di legge

Il 15 ottobre 2020 è stata presentata una proposta di legge avente ad oggetto la disciplina del rapporto di collaborazione professionale dell’avvocato in regime di monocommittenza. Il testo è composto da 13 articoli e si rivolge unicamente al mondo forense, si tratta, infatti, di una disciplina spiccatamente settoriale.

Innanzitutto, viene chiarito che il rapporto di collaborazione avviene senza alcun carattere di subordinazione, rispettando così il disposto della legge professionale forense, che considera il lavoro subordinato incompatibile con il ruolo di avvocato (art. 18 c. 1 lett. d) Legge n. 247/2012). Il contratto deve avere forma scritta, a pena di nullità e indicare la durata del rapporto.

Il compenso, congruo e proporzionato al lavoro svolto, va corrisposto preferibilmente con cadenza mensile. I parametri minimi del corrispettivo sono fissati con un apposito decreto ministeriale. Gli oneri previdenziali vengono suddivisi nella misura di 1/3 in capo al committente e 2/3 in capo al collaboratore.

Le garanzie per l’avvocato-collaboratore e per il committente

Secondo lo schema di legge, il committente e il collaboratore possono liberamente recedere dal contratto, dando congruo preavviso, con termini più ampi per il primo e ridotti per il secondo. La proposta prevede disposizioni specifiche in caso di gravidanza, adozione e infortunio.

Il committente è tutelato dalle disposizioni che precludono al collaboratore di svolgere attività in conflitto di interessi, che gli impongono l’obbligo di riservatezza e che prevedono il patto di non concorrenza

L’avvocato-collaboratore è una figura esistente solo in Italia?

Oltralpe, già dal 1990, gli avvocati sono inquadrati giuridicamente in due categorie: gli “avvocati-collaboratori” e gli “avvocati-salariati”. I primi svolgono l’attività presso uno studio, conservando la possibilità di avere clienti propri e senza vincolo di subordinazione, mentre i secondi sono dipendenti in senso stretto. In Italia, non è possibile accogliere una bipartizione così netta, anche alla luce dei principi cardine della professione forense.

Nondimeno, l’attuale situazione di crisi economica, unita ad una saturazione del mercato, ha spinto il legislatore a prendere consapevolezza della realtà che coinvolge migliaia di avvocati, giovani e non solo, che necessitano di una tutela specifica, attualmente inesistente.