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Proroga degli sfratti: cosa succede dopo la decisione della Consulta?

Fonte: altalex.com

Con la sentenza 22 giugno 2021, n. 128 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultima proroga della sospensione ex art. 54-ter d.l. 18/2020 (inserito con la relativa legge di conversione, la n. 27 del 2020, e rubricato “Sospensione delle procedure esecutive sulla prima casa”) delle procedure esecutive aventi ad oggetto immobili costituenti l’abitazione principale del debitore esecutato. La proroga in esame – giustificata, per espressa statuizione legislativa, dalla volontà di limitare gli effetti negativi dell’attuale crisi economica, generata dalla pandemia da covid-19, sul diritto a godere della propria abitazione – era originariamente fissata a decorrere dal 1° gennaio 2021 sino al 30 giugno 2021. In pratica, durante questo lasso di tempo non si sarebbe potuto procedere in executivis nei confronti degli immobili che – sebbene fossero oggetto di pretese creditorie già prima della proroga medesima– rappresentavano l’abitazione principale del soggetto esecutato.

In seguito alla su richiamata pronuncia dei giudici di Palazzo della Consulta, molti operatori del diritto si sono posti un quesito dai risvolti pratici non indifferenti: per riassumere le esecuzioni immobiliari sospese ai sensi dell’art. 54-ter d.l. 18/2020 e per evitarne l’estinzione, il termine di sei mesi previsto dall’art. 627 c.p.c. (rubricato, appunto, “Riassunzione”) da quando decorre?

La norma da ultima citata, infatti, afferma espressamente: “Il processo esecutivo deve essere riassunto con ricorso nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione e, in ogni caso, non più tardi di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l’opposizione”. Nulla quaestio sulla sua applicazione: invero, già la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che “il carattere evidente di eccezionalità della disposizione – diretta a fronteggiare un problema drammatico del tutto particolare – fa sì che l’interprete debba rifarsi alle regole generali, secondo cui la legge ubi voluit, dixit; il che equivale ad affermare che, nulla avendo disposto la norma eccezionale in ordine alla riassunzione, questa debba avere luogo secondo le regole generali del codice di procedura civile” (Cass. civ., sez. III, 25/03/2016, n. 5955, la quale si pronunciò in materia di riassunzione delle procedure esecutive sospese in occasione del tragico sisma che colpì la città dell’Aquila nell’aprile 2009). La crisi economica derivante dalla pandemia da covid-19 ed i relativi problemi in tema di diritto all’abitazione rientrano indubbiamente nel concetto di “problema drammatico del tutto particolare”, di cui parlava la Suprema Corte. Nondimeno, il termine di sei mesi entra in gioco in quanto la sospensione de quo trova fondamento nella legge e non in un provvedimento giudiziale (come, invece, contemplato dalla prima parte dell’art. 627 c.p.c.), la quale ha così disposto per fronteggiare una situazione assolutamente imprevedibile ed incresciosa.

Dato il silenzio serbato dall’art. 54-ter sulla riassunzione delle procedure da esso sospese e, contemporaneamente, la necessità di rispettare il termine legale imposto dal codice di rito, per risolvere il quesito che ci siamo posti bisogna far riferimento a quelle che sono le caratteristiche intrinseche e le conseguenze pratiche delle pronunce con cui la Corte costituzione dichiara illegittima una disposizione impugnata per contrasto con una norma della Carta fondamentale. Particolare rilievo assume, ai nostri fini, il carattere così detto “rettroattivo” delle sentenze di accoglimento della Consulta: in base ad esso, infatti, una norma che sia stata dichiarata illegittima alla luce dei principi dettati dalla Costituzione è tale sin dall’origine, ossia sin dal momento in cui è entrata in vigore.

Trattasi, quest’ultima, di una peculiarità individuata dallo stesso Giudice delle Leggi il quale, nel corso dei decenni, ha più volte statuito che le sue pronunce di accoglimento, oltre ad esplicare gli effetti delineati dall’art. 136 della Costituzione (perdita di efficacia della disposizione illegittima dal giorno successivo alla pubblicazione della relativa declaratoria), comportano una regressione – dal punto di vista temporale – dell’illegittimità di una norma di legge o di un atto avente tale forza al momento in cui essi vennero ad esistere (cfr., in tal senso: Corte cost., 29/12/1966, n. 127; Corte cost., 05/05/1967, n. 58; Corte cost., 07/05/1984, n. 139; Corte cost., 09/01/1996, n. 3). A questa presa di posizione ha successivamente aderito anche la giurisprudenza di legittimità (si veda, sul punto, Cass. civ., sez. lav., 28/05/1979, n. 3111 e Cass. civ., sez. III, 28/07/1997, n. 7057).

La conseguenza di ciò è che le norme dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Consulta non possono più trovare applicazione alcuna: esse sono sostanzialmente espunte dall’ordinamento, nel senso che è a loro sottratta l’idoneità a produrre effetti giuridici vincolanti, anche se non formalmente abrogate (è noto, infatti, che una norma può essere abrogata solo da un’altra norma che sia di pari grado o di grado superiore, e che sia di emanazione legislativa). Tuttavia, come ha anche sottolineato gran parte della giurisprudenza dapprima citata, una legge che non sia sopravvissuta alla scure della Consulta continua ad esplicare i suoi effetti su quei rapporti giuridici sorti e/o perfezionatisi, dal punto di vista processuale, prima che essa venisse dichiarata costituzionalmente illegittima (i così detti “rapporti esauriti”).

Da quest’ultima asserzione si trae la conclusione per cui una disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima non si applica esclusivamente a quelle situazioni o a quei rapporti giuridici sorti prima della sentenza di accoglimento del Giudice delle Leggi, sempre che questi ultimi siano in quel momento ancora pendenti. Il rilievo pratico di questa osservazione è enorme, essendo tale ragionamento perfettamente applicabile al caso che ci occupa: le procedure esecutive sospese ai sensi dell’art. 54-ter d.l. 18/2020 sono state logicamente attivate prima della declaratoria di incostituzionalità del 22 giugno scorso e risultano – in virtù del rallentamento processuale impartito dalla sospensione stessa – ancora non portate a termine.

Alla luce di quanto osservato è indubbio che, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale della proroga della sospensione delle esecuzioni aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore, il termine semestrale che, ai sensi dell’art. 627 c.p.c., deve essere osservato a pena di estinzione per riassumere il processo decorre a partire dal 1° gennaio 2021. Ciò costituisce una naturale conseguenza dell’efficacia ex tunc delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale: essendo la proroga della sospensione di cui all’art. 54-ter, prevista dal 1 gennaio 2021 sino al 3° giugno 2021, illegittima ab origine, essa deve considerarsi come se non fosse mai esistita.