La pandemia invisibile: i danni dell’era Covid sulla salute mentale dei più giovani
Fonte: brindisireport.it
L’evento eccezionale e straordinario della pandemia è stato devastante per l’intera umanità, ancora minacciata dalla persistenza di un virus pericolosamente mutante. Mentre la pandemia rallenta e scendono incidenza e pressione negli ospedali, si comincia a fare una prima stima dei danni di questi due anni di Covid-19. Indubbiamente l’altissimo numero di morti finora registrato costituisce la voce più dolorosa del suo bilancio, ma il virus non ha infettato solo il corpo provocando morte, ospedalizzazioni e ricoveri in terapia intensiva. Alla malattia connessa all’infezione si è aggiunto un impatto enorme sul benessere psichico, che ha rappresentato una minaccia per tutte le persone del pianeta, ormai impaurite, smarrite e stanche da questa emergenza che non sembra finire.
Molti clinici, con l’esplosione della pandemia, hanno evidenziato l’esistenza di una “crisi della salute mentale globale”. I dati statistici rilevati dai ricercatori sulla rivista “The Lancet” sono devastanti: si stima che l’anno scorso i casi di disturbi depressivi e d’ansia siano aumentati di più di un quarto. Un’impennata insolitamente marcata. In questo scenario di generale stress collettivo l’emergenza sanitaria ha gravato in modo importante sulla salute mentale dei giovanissimi, particolarmente colpiti, che stanno pagando il prezzo più alto di tanta vulnerabilità. In un’età, già di per sé connotata da profondi cambiamenti e trasformazioni e nel naturale processo di rivoluzione interna ed esterna che l’adolescente, per sua natura, vive, si sono aggiunti il Covid-19 e le diverse fasi che hanno caratterizzato questo periodo.
La pandemia di Covid-19 e le conseguenze psicosociali ad esse correlate – così come testimoniate dalla letteratura internazionale – hanno avuto un impatto rilevante sulle vite degli adolescenti e dei giovani, causando ulteriore malessere psicologico e sofferenza. E questo stress ha colpito anche i bambini nel grembo materno! Secondo uno studio condotto dai ricercatori del Morgan Stanley Children’s Hospital di New York i neonati, i “figli della pandemia” presenterebbero, infatti, una maggiore incidenza di problematiche rispetto ai bambini nati in epoche precedenti, indipendentemente dalla loro positività al Covid e da quella materna. Tra le motivazioni gli studiosi hanno identificato lo stress prenatale vissuto dai genitori durante la gestazione, che potrebbe contribuire ad alcuni cambiamenti in grado di rallentare l’apprendimento motorio e quello cognitivo.
I neonati, “figli del lockdown”, affacciandosi alla vita in un momento così critico, hanno dovuto imparare a conoscere il mondo e il volto umano mediato da una mascherina. Ci si chiede: ma questo “mascheramento”, che nasconde parte del viso importante per esprimere emozioni e parole, potrebbe anche influenzare lo sviluppo emotivo e linguistico dei bambini? La ricerca sui bambini pandemici ci dice che è troppo presto per trarre interpretazioni significative tra la depressione prenatale e le differenze di connettività del cervello in quelle stesse aree. Sta di certo che questo stravolgimento nelle relazioni umane ha un peso, e lo avrà ancora. Le ricerche di questi ultimi mesi ci consegnano un panorama diffuso e preoccupante di malessere e di disturbi mentali, un vero e proprio terremoto psicologico.
L’emergenza sanitaria ha reso più visibili e acuito le fragilità delle giovani generazioni, come mostrano i dati allarmanti evidenziati dagli studi più recenti della letteratura scientifica e dalle rilevazioni nazionali ed internazionali, che evidenziano come il Covid-19 abbia significativamente compromesso la salute mentale degli adolescenti, a volte in maniera drammatica. L’ampia metanalisi, pubblicata sul prestigioso Juama Pediatrics, che ha riguardato 29 studi, condotti su oltre 80.000 giovani ha evidenziato un problema di portata mondiale: oggi un adolescente su quattro, in Italia e nel mondo, presenta i sintomi clinici della depressione e uno su cinque segni di un disturbo d’ansia. L’incidenza di depressione e ansia è raddoppiata rispetto al periodo pre-pandemia. A pagare il prezzo più alto, più dei bambini, sono stati i ragazzi della scuola secondaria superiore, quelli più penalizzati e che hanno risentito maggiormente il mal di vivere della pandemia, delle sue regole, dei suoi divieti e delle informazioni spesso contrastanti e collegate al Covid-19.
Le manovre di isolamento e distanziamento, seppur necessarie per rispondere all’emergenza sanitaria di contagio da coronavirus, hanno penalizzato e ostacolato i cambiamenti evolutivi specifici dell’età. In una routine fatta di famiglia, scuola e progetti personali, si sono ritrovati a fare i conti con un mondo che si ammala e con un conseguente senso di angoscia montante, con la paura di perdere i propri cari o addirittura di morire; un mondo che, restringendosi, obbliga a cambiare in larga misura lo stile di vita, confinandola tra le mura di casa, che la separano fisicamente dai compagni di scuola e di sport, contribuisce a far vacillare le preesistenti certezze e a fare i conti con le proprie paure… Chiudere la scuola sicuramente vuol dire proteggere la popolazione e i bambini, ma vuol dire anche esporre bambini e gli adolescenti ad una carenza non solo di cultura, di povertà educativa, ma soprattutto di socialità ed amicizia.
La scuola, infatti, ha sempre avuto una funzione formativa e sociale più ampia dello studio della storia o della matematica, perché oltre ad essere il luogo dell’apprendimento è il luogo delle relazioni, dove si affinano le competenze emotive e dove avvengono quei riti di passaggio fondamentali per procedere verso il mondo adulto. La scuola è elemento cruciale per la costruzione dell’identità personale in una fase della vita fortemente evolutiva in termini neurobiologici e psicologici: costituisce uno dei supporti emotivi per i ragazzi ed è un contenitore istituzionale fondamentale per la loro crescita. Ma anche la discontinuità e la frammentazione scolastica è stata percepita come elemento stressante e l’introduzione della Dad (Didattica a distanza) non ha aiutato, non riuscendo a sostituirsi alla partecipazione personale che resta insostituibile. Alcune ricerche hanno dimostrato che l’insegnamento on line ha determinato una perdita dell’apprendimento del 35 per cento.
Molti genitori hanno dovuto registrare effetti negativi dell’istruzione a domicilio per se stessi e per i propri figli, con un sostegno insufficiente da parte delle scuole. Spesso è stata lasciata ai genitori la responsabilità primaria della gestione dell’istruzione a distanza, con aumento dei livelli di stress, preoccupazione e anche conflitti domestici. Perché, tra l’altro, anche lo stare in casa, costringendo molti ragazzi alla convivenza forzata con i genitori anche violenti, ha avuto un impatto drammatico, facendo aumentare esponenzialmente le violenze sui minori, i maltrattamenti e gli abusi. Il conseguente bisogno di alleviare l’umore ha aumentato alcune dipendenze comportamentali, come l’abuso di internet anche nelle ore notturne, l’eccesso dei videogiochi, la pornografia e ha aumentato la loro aggressività, rabbia ed esasperazione. Le risse fra gruppi sono diventate frequenti e l’esplosione di rabbia collettiva è emersa in fatti di cronaca visibili. Si è arrivati così alla esaltazione dello scontro fisico come l’occasione per avere visibilità.
Non poter vivere nella normalità un’età irripetibile e i passaggi fondamentali della propria vita adolescenziale (come i primi approcci amorosi o l’esame di maturità), è stata vissuto dalla popolazione infantile e adolescenziale come evento equiparato ad un lutto e, come tale, è diventato catalizzatore di ansia e depressione. Non si può certamente negare che i nostri figli stiano vivendo una pagina di storia amara ed imprevedibile e che la promozione della “scuola in presenza” debba essere considerata una priorità assoluta per il benessere di bambini ed adolescenti e della società italiana in generale. Certo non è una questione che si risolve unicamente con un ripristino della normalità didattica, ma deve includere la rilevazione, la comprensione e la presa in carico dei disturbi cognitivi e delle nuove aumentate domande di salute fisica e mentale emerse, dopo più di due anni di scuola a singhiozzo.
Ora che si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel alcuni segnali e gli effetti di ciò che è stato non possono essere più sottovalutati. Il tempo che stiamo vivendo ci consegna innumerevoli ferite da sanare: tra queste e non ultimo, il dolore psicologico dei bambini e degli adolescenti. Credo sia importante aiutarli a ritrovare quella dimensione sociale e di serenità che favorisca la loro evoluzione. La pandemia si è rivelata anche lente di ingrandimento che rende più evidenti le falle della società italiana, cui dobbiamo porre rimedio con grande urgenza. Dobbiamo prenderci cura della salute mentale dei bambini e degli adolescenti, sviluppando linee guida cliniche per alleviare gli effetti negativi della pandemia attraverso strategie di salute pubblica. La verità, infatti, è che sul fronte “istituzioni” non sembra esservi quell’attenzione che una problematica sociale di così ampia portata richiederebbe e meriterebbe.
I giovani, come categoria, sono stati dimenticati. Si sta dando loro poca attenzione e la loro speranza nel futuro si è spenta. Se abbiamo a cuore i nostri ragazzi dobbiamo occuparci di loro con un maggiore dialogo tra politici, governanti e ricercatori. Il che vuol dire risorse ed energie per la pianificazione delle risposte per la salute mentale, soprattutto delle fasce più fragili. Oggi più che in passato recuperare questi ragazzi è un obbligo morale e politico. Non ci sono motivazioni scientifiche o economiche che siano, per continuare a trascurare un problema che, essendo diventato sociale è di tutta evidenza e priorità. Il Pnrr sarà un’occasione fondamentale che il Governo e le istituzioni tutte non possono permettersi di perdere, al fine di rimettere al centro i diritti dell’Infanzia. Non possiamo voltarci dall’altra parte.
I giovani sono la nostra “speranza”, si è soliti ripetere: facciamo seguire alle mere enunciazioni di principio la concretezza delle azioni. Ascoltare e prendersi cura dei bambini e degli adolescenti nel presente è un investimento generativo per il futuro, finalizzato e prevenire processi di cronicizzazione delle fragilità e per supportarli ad affrontare un mondo che sembra senza domani. E per ridare senso e speranza al futuro. La cura per i ragazzi, gli adolescenti e i giovani possono essere la chiave di volta per la ripartenza, la scossa e la molla di un rinascimento sociale. Perché il futuro è responsabilità della politica e della società civile. Ma anche, e soprattutto, di tutti e di ciascuno di noi.