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La storia del Castello di Torre

Il Feudo di Torre S. Susanna, nel 1722, era stato venduto al Principe Carmine De Angelis al Conte Pietro Aurelio Filo di Altamura, che ne aveva sposato la figlia Eleonora De Angelis. Probabilmente dovette trattarsi di una vendita formale per salvere il Feudo da un possibile sequestro per debiti da parte di Regio Consiglio di Napoli, che difatti alcuni anni dopo sequestrò ai De Angelis il Feudo di Mesagne. La famiglia Filo era di origine greca e nobile fin dal 1200 ed era di Altamura; fu onorata con titoli, privilegi e ordini cavallereschi e investita di più Feudi. Fra i suoi membri più noti sono da ricordare Pietro, arcivescovo di Acerenza nel 1279; Antonio, sindaco dei nobili di Altamura nel 1441; suo figlio Giovanni, in seguito al passaggio da Altamura nell’ottobre del 1466 del gran maestro dell’ordine di San Giovanni di Gerusalemme a Rodi e ai privilegi da questi accordati ai nobili di Altamura, si trasferì a Rodi e, con credenziali del 18 novembre del 1477, fu nominato, dal Gran Maestro D’Aubusson, ambasciatore con l’incarico di concludere e di firmare la pace col re di Tunisi e di costituire ivi un consolato di Rodi; Pasquale, fratello di Giovanni, che molto contribuì alla conquista del principato di Taranto da parte di Ferrante d’Aragona e, quale sindaco dei nobili, fece sottomettere Altamura e a nome di questa prestò giuramento di fedeltà agli Aragonesi; Roberto, notaio apostolico e vicario vescovile di Martorano il 9 aprile 1590; Nicola Antonio, prelato e cameriere segreto di Sua Santità Clemente X e infine Bisanzio Filo, Vicario Generale di Altamura, di Trani e di Bitonto, fu nominato Vescovo di Oppido l’8 novembre del 1697 e Vescovo di Ostuni l’11 aprile del 1707. Nel 1554 il casato dei Filo ebbe diploma di nobiltà direttamente da Carlo V. Con i Filo, il Castello di Torre Santa Susanna fu per la prima volta utilizzato come dimora nobiliare, visto che in precedenza nessuno lo aveva ancora di fatto abitato. Per questo motivo Pietro Aurelio Filo continuò la sopraelevazione dell’edificio di altre due campate per rendere il piano nobile più ampio ed abitabile, ma l’impegno finanziario non dovette essere comunque eccessivo.
D’altronde ancora nel 1753 con il catasto onciario di Torre Santa Susanna (Arch. Di Stato di Brindisi, vol. 30) a fronte di numerose proprietà della famiglia feudale non si fa alcun cenno del palazzo: Eleonora De Angelis, già vedova del conte Filo, denuncia come corpi burgensatici la cantina sotterranea davanti la Piazza, tre mulini e la masseria Cociolina con chiesa, case, ecc., oltre a numerosi appezzamenti di suolo e abitazioni date in fitto; i figli Massenzio Filo, Vescovo di Castellaneta, e Carlo Filo, la masseria Guidone.
Figli di Pietro Aurelio Filo e di Eleonora De Angelis furono appunto Massenzio e Carlo. Il primo intraprese la carriera ecclesiastica; nominato Vicario Generale di Altamura, divenne Vescovo di Castellaneta l’11 maggio del 1733 e poi Vescovo assistente al Soglio Pontificio; fondò con propri legati una biblioteca e un ospedale. Carlo, alla morte del padre avvenuta nel 1750, prese il feudo di Torre Santa Susanna e a sua volta ebbe, da donna Giulia D’Aquino, due figli: Pietro e Massenzio. Il primo, che avrebbe dovuto ereditare il titolo della Contea di Torre, morì però precocemente nel 1764 e pertanto il Feudo, alla morte di Carlo, passò a Massenzio Filo Junior, che si può considerare l’ultimo feudatario di Torre Santa Susanna, trovandosi lui nel momento in cui, nel 1810, fu proclamata l’eversione della feudalità.
Massenzio Filo morì poi nel 1821. Fu lui a finanziare la costruzione della cappella a Maria Immacolata nel Convento, in cui sotto il dipinto raffigurante Sant’Andrea Avellino, protettore della morte improvvisa, si leggeva “MDCCLXXXII – LEQUILE”. Durante la Signoria di Carlo e di Massenzio il castello di Torre Santa Susanna ebbe gli interventi più importanti e significativi. Difatti in quel periodo fu completato tutto quanto il piano nobile, unificando il paramento della facciata completo di cornice marcapiano e cornice di coronamento, e fu definitivamente segnata la cadenza modulare delle aperture con dei rilievi a mo’ di capitello sulla cornice marcapiano; al piano terra fu individuato uno degli ambienti di deposito adiacente all’androne d’ingresso, il quale fu isolato e trasformato in cappella gentilizia con il frontone principale a timpano sulla strada, secondo accesso dall’androne e possibilità di accedere dal piano nobile ad un soppalco della muratura. Tale cappella trova la sua ragion d’essere nel fatto che Massenzio Filo Senior, fratello di Carlo, aveva intrapreso la carriera ecclesiastica sino a diventare poi Vescovo di Castellaneta, mentre il nipote Massenzio Junior, figlio di Carlo Filo, in quanto secondogenito, aveva anche lui intrapreso gli studi religiosi, prima che la morte del fratello primogenito Pietro lo portasse d’un tratto a capo della famiglia. Subito dopo tale innovazione, il completamento della sopraelevazione del Castello portava a rivedere anche il sistema di accesso al piano nobile: si abbandonava il sistema promiscuo (padroni e servi) della rampa esterna, ancora oggi esistente, e più adatta ad una masseria che a un palazzo baronale e gli si sostituiva una nuova proposta tendente ad utilizzare come accesso l’ambiente situato tra la cappella di nuovo impianto e la torre a nord, che fu dotato di un portoncino d’accesso con paraste ed elementi decorativi, ma che si trovava in una posizione assai infelice non solo per problemi distributivi che innescava al piano nobile, ma anche perché il leggiadro portoncino era schiacciato dalla mole incombente del nuovo volume adibito a stalle realizzato in quegli anni e che forniva al piano nobile un vasto terrazzo isolato, fornito di fioriere, che si apriva sul vasto giardino murato che circondava il palazzo. Ma la soluzione non dovette apparire ottimale, visto che non solo oggi il portoncino è murato ed inutilizzabile ed all’interno dell’ambiente non si nota alcun accesso al sistema monumentale, ma l’accesso fu ricavato, fin dal tempo di Bisanzio Filo, figlio e successore di Massenzio, e, comunque, prima dell’Unità d’Italia, riducendo la lunghezza delle stalle con l’inserzione a forza di un volume contenente una scala a due rampe, mentre una distribuzione razionale degli ambienti al piano nobile si otteneva soltanto aprendo sul fronte nord della torre nord e sul fronte principale del palazzo, all’incrocio della torre nord, finestre che non erano previste nell’impianto originario… un taglio quest’ultimo che, per rispetto della simmetria, sarebbe stato riproposto sul frontone principale anche in angolo con la torre sud.
Certamente la famiglia Filo, come un po’ tutte le famiglie aristocratiche che avevano goduto sotto i Borboni una posizione privilegiata, non potette rimanere indifferente alla suggestione di un’eventuale restaurazione dello status quo ante subito dopo l’Unità d’Italia. Essa però continuò a restare chiusa nel suo castello, in uno sprezzante ed orgoglioso isolamento, castello che ebbe nel secondo Ottocento anche qualche importante rifacimento. Da Bisanzio Filo la costruzione era toccata prima al figlio Pasquale (III Conte e Cavaliere dell’Ordine di Malta), sino al 1894, e quindi al figlio di questi, Edoardo, che era nato nel 1853 ed aveva sposato, nel 1878, donna Giulia Granito di Belmonte (1856-1920) e che morì nel 1905. All’inizio fu realizzato sul lato a sud del cortile, in adiacenza alla rampa d’accesso esterna al piano nobile, un vasto ambiente, simmetrico alle stalle poste a nord, da adibirsi a deposito o ad ambiente di lavoro. Poi, secondo le proposte di un rinascente neo-medievalismo, il palazzo fu coronato con l’aggiunta dei merli che ne completarono il disegno. L’inutilità di conservare al piano terra tutta una serie di ambienti di deposito (non più motivati da decime feudali) comportò il loro isolamento, l’apertura di una serie di porte con sopraluce sul prospetto principale, la chiusura delle finestre sul cortile interno ed il loro affitto, uno per uno, come botteghe. La famiglia Filo finì per stabilirsi definitivamente in Napoli e nel Castello di Torre veniva a trascorrere solo il periodo estivo. Il ramo principale dei Filo finirà per estinguersi nei primi del Novecento. A Torre Santa Susanna, nel cimitero, esiste ancora la tomba di famiglia in cui sono sepolti Goffredo Filo, figlio di Bisanzio, nato a Napoli nel 1865 e morto a soli 39 anni ed Angelo, figlio di Edoardo, nato a Napoli nel 1894 e morto a soli 16 anni; tomba su cui ancora oggi una mano ignota lascia qualche mazzo di fiori, di tanto in tanto.
Dopo il lungo mandato come sindaco del paese di Vincenzo Cervellera, in un momento in cui nessuno più ambiva alla carica di Sindaco, visto il drammatico momento di crisi economica, politica e morale conseguente alla fine del conflitto mondiale, pervenne a capo dell’Amministrazione Ignazio Sollazzi ( dal novembre del 1920 al marzo del 1923), il quale aggiudicò l’appalto della Esattoria al latianese Angelo D’Ippolito, uomo di sua fiducia. Tale incarico dovette fruttare considerevoli vantaggi al D’Ippolito il quale poi cedette la gestione dell’Esattoria, dopo lungo tempo ed in cambio di una ragguardevole somma, alla Cassa di Risparmio di Puglia. Nel 1947 il D’Ippolito acquistò per circa quaranta milioni di lire il Castello di Torre Santa Susanna dagli eredi dei Conti Filo e in tale circostanza l’amministratrice dei beni dei Filo, Rosina Rodi, in cambio della sua mediazione, ebbe tutto il giardino annesso al Castello sul lato sud, in parte poi ceduto per suolo pubblico ed in parte conservato per uso personale. Il Castello fu ceduto in fitto all’Amministrazione comunale in varie circostanze: fu utilizzato come lazzaretto durante l’epidemia di vaiolo nei primi del Novecento, come scuola elementare e come sede di reparti militari durante il II conflitto mondiale. Passato poi agli eredi D’Ippolito, subì un grave degrado, sino a quando nel 2003 fu acquistato dalla famiglia Trinchera che ha promosso un progetto di restauro per il suo recupero.

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