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L’Avarizia

Sin dall’antichità la parola avarizia indicava la brama eccessiva di ricchezza e l’attaccamento esagerato al denaro. La figura dell’avaro è stata sempre argomento di grande interesse. Il denaro per queste persone assume un valore fine a se stesso e porta l’avaro a condurre una vita priva di piaceri, dove l’unico obiettivo è accumulare. L’uomo avaro non ama se stesso, ma ama le cose che possiede. E’ odiato dagli altri e sapendo di esserlo cerca di mimetizzarsi, fingendo nobiltà d’animo adducendo l’encomiabile scopo di provvedere ai figli. C’è poi anche l’avarizia spirituale oltre che quella materiale, come alcuni personaggi della vita politica che non riescono mai a staccare la spina e a lasciare spazio ai più giovani. Anche nell’ambito del pubblico impiego ci sono persone che diventano come “proprietarie” delle loro carte e si attaccano gelosamente al loro servizio e ai loro piccoli poteri. Questi miseri personaggi non ripongono la loro fiducia in nessuno tranne che in loro stessi, si preoccupano solo di conservare quanto acquisito e di tenere stretto quanto hanno conquistato, sempre con malignità , lecchinaggio e sotterfugi vari, a discapito degli altri. Il loro idolo è il capo, sia esso padrone, presidente o direttore, perché attraverso questi possono accumulare prebende e favori al limite della prostituzione.
L’avaro è sempre triste, a questo proposito voglio ricordare, a chi sta avendo la pazienza di leggere queste mie considerazioni, un passo dal libro “Mastro don Gesualdo” di Giovanni Verga, che quando il protagonista si accorse di essere malato decide di dare un ultimo saluto alle sue amate proprietà, disperato di dover morire, si mise a bastonare anitre e tacchini, a strappar gemme e sementi. Voleva che la sua roba se ne andasse con lui, disperata come lui.
Caro amico lettore, fermati un momento e fai mente locale. Nell’ambito del tuo paese, dell’ufficio in cui lavori, nel bar che frequenti, conosci di questi personaggi? Se si, quando gli incontri sputagli in faccia, anzi, no, non meritano nemmeno le tua saliva, sarebbero capaci di scambiarla per ambrosia e profumarsi la faccia.
Anche dalla nobile penna di Dante è stato trattato il personaggio dell’avaro. Il tema del VII canto dell’inferno è l’inesauribile voglia della ricchezza, lo sfrenato senso del possesso, il perenne e smodato desiderio mai pienamente appagato dell’avere. Il cerchio è quindi abitato da avari, puniti a spingere in eterno enormi massi di materia sterile, simbolo dell’inutilità delle loro azioni compiute in vita.
Una notte un vecchio raccontò a suo nipote una storia: “ Figlio mio, la battaglia nel nostro cuore è come combattuta da due lupi: Un lupo è maligno: è collera, gelosia, gelosie, tristezza, rammarico, avidità, avarizia, superiorità, falso orgoglio. L’altro buono: è gioia, pace, amore, speranza, serenità. Il nipote, dopo averci pensato per qualche minuto, chiese al nonno: “Quale dei due vince?”. Il vecchio rispose semplicemente: “ Quello che tu nutri dentro di te”.
Enzo Carofalo

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