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Italia ed Europa sommerse dalla cocaina. Questa è la vera invasione, altro che migranti

Fonte: repubblica.it

Belin, mi dice: guarda che arriva anche il nostro carico il primo di novembre… cinque borse da 25… 125 chili in tutto… capisci com’è?». Massimo è nervoso: va bene gestire un ordine. Ma due, e per committenti diversi poi, è troppo. Troppo lavoro illegale, troppe richieste di sbarcare cocaina. La storia di Massimo, operaio portuale di Genova, dipendente di una grande società di servizi, subissato da offerte da parte dei trafficanti di droga, racconta alla perfezione il boom del business della droga in Europa. La merce è troppa. È questa la vera, grande invasione che arriva dal mare. Mentre la politica e l’opinione pubblica si concentrano sugli sbarchi dei migranti, i carichi di cocaina bloccati nelle dogane del Vecchio Continente hanno fatto segnare un aumento senza precedenti: quest’anno il conto complessivo potrebbe sfiorare le 200 tonnellate, contro le 150 del 2018.

Nei soli porti italiani, dal primo gennaio al 31 ottobre, ne sono state sequestrate più di cinque tonnellate. Il 168 per cento in più rispetto al 2018. Sono dati della Direzione centrale antidroga che L’Espresso può anticipare nell’ambito di un’inchiesta del consorzio giornalistico Eic (European Investigative Collaborations) sulle nuove rotte della cocaina verso l’Europa. A Genova, il 14 ottobre, un’operazione coordinata dalla procura antimafia ha portato all’arresto di un gruppo di trafficanti attivo fra Liguria, Calabria, Colombia e Ecuador. Si erano rivolti a Massimo, il camallo genovese, per far uscire dai docks 125 chili di merce che arrivava dal Cile. Il gruppo criminale vantava una struttura sperimentata e ben organizzata, buoni rapporti con le famiglie “di giù”, certezza nei pagamenti. Purtroppo per loro, però, nel frattempo Massimo era già stato ingaggiato da un’altra banda di narcos, questa volta albanesi, per uno sbarco dalla stessa nave, la Carolina Star. Il cargo attracca il 2 novembre del 2017. Mentre sposta i primi 77 chili per gli emissari del boss, il portuale corrotto viene però fermato dalla Guardia di Finanza. Il secondo carico resta così nella stiva, e la banda italiana viene costretta a cambiare rotta. Punta su Gioia Tauro, ma a metà ottobre di quest’anno scattano le manette anche per loro. Questa vicenda dimostra una volta di più che ormai le organizzazioni criminali, a cominciare dalle cosche calabresi, sono in grado di giocare su più tavoli, di gestire le spedizioni di cocaina su porti diversi a seconda delle esigenze del momento.

I carichi provenienti dal Sud America vengono così suddivisi fra tutte le principali destinazioni del continente: Rotterdam, Anversa, Valencia, Livorno, oltre a Genova. Diversificare i punti di sbarco serve a ridurre i rischi. Nord o sud Europa poco importa, alla fine. Perché la capacità delle mafie di infiltrarsi negli scali marittimi conosce pochi limiti. Gerrit Groenheide era un cinquantenne, da decenni impiegato alle dogane di Rotterdam. Insieme alla sua squadra aveva un compito cruciale: vigilare sui 20mila container scaricati ogni giorno nell’enorme hub olandese, segnalando, in base a specifiche categorie di rischio, quelli sospetti. Se diceva “arancio”, il carico avrebbe potuto essere ispezionato. Se segnava “bianco” passava liscio. Era la porta dell’inferno o del paradiso per ogni trafficante internazionale di droga. Fra il 2012 e il 2015, Gerrit ha guadagnato 250mila euro per aver lasciato transitare cocaina. In bianco. Il business non dorme mai. E così il numero, e il peso, dei sequestri non fa che aumentare. 15 gennaio 2019: la Guardia di Finanza di Livorno blocca 644 chili di cocaina in transito verso Madrid. 23 gennaio: a Genova vengono trovate due tonnellate di droga su un container diretto dalla Colombia a Barcellona. 26 giugno 2019: l’agenzia delle Dogane statunitense confisca a Philadelphia un carico di 20 tonnellate di cocaina stipata su un cargo. Venti tonnellate. 2 agosto 2019: le autorità tedesche estraggono 221 borsoni neri ammassati in un container spedito da Montevideo. Portano 4.200 pacchetti di droga. Valore commerciale: più di un miliardo di euro.

È un fiume in piena. Uno tsunami di polvere bianca che invade il ricco mercato europeo dello spaccio. E la marea non accenna a calare, come segnala Kevin Scully, che da Bruxelles dirige le operazioni dell’antidroga americana, la Dea, nel Vecchio Continente. «Tutto fa pensare che nel 2019 l’import di cocaina farà segnare un nuovo record», dice Scully. D’altronde, il business dello sballo va alla grande, come confermano tutte le ricerche più aggiornate. Da Roma a Berlino, da Zurigo a Parigi e Londra il consumo di droga è in continua crescita e aumentano di conseguenza anche gli affari delle organizzazioni criminali.

Su scala globale la torta vale ricavi per almeno 300 miliardi di euro l’anno per una produzione complessiva di circa 2 mila tonnellate. Questi numeri vanno presi con beneficio d’inventario, perché, ovviamente, in materia non esistono statistiche precise. Forze di polizia e analisti sono però concordi nel ritenere che mai in passato s’era vista tanta coca in circolazione. Gli schemi elaborati dalle centrali d’intelligence internazionali trovano conferma indiretta nella realtà della cronaca quotidiana, che vede moltiplicarsi i reati legati allo spaccio e al consumo. Tutto scorre sottotraccia, fino a quando un delitto da prima pagina non scuote un’opinione pubblica altrimenti indifferente o rassegnata. È successo a Roma, per ben tre volte negli ultimi mesi.

A fine luglio l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega. Poi, un paio di settimane dopo, l’esecuzione dell’ex capo ultrà laziale Fabrizio Piscicelli. E quindi, il 23 ottobre, l’assassinio del giovane Luca Sacchi. Tre vicende, in buona parte dai contorni ancora oscuri, legate tra loro da un unico filo rosso: il traffico di cocaina sulla ricca piazza di spaccio della capitale. Il 18 settembre, mille chilometri più a Nord, un killer ha freddato l’avvocato Dirk Wiersum e così anche una città come Amsterdam ha scoperto all’improvviso di trovarsi in prima linea sul fronte della guerra per il controllo del business della droga.

Nella pacifica Olanda non era mai successo che un legale venisse assassinato per vicende legate a un processo. Wiersum difendeva Nabil Bakkali, origini marocchine, che aveva deciso di fare i nomi dei suoi complici in un traffico internazionale di droga. Il messaggio dei narcos è arrivato forte e chiaro. Nessuno può permettersi di rompere la regola deIl’omertà. In gioco ci sono i profitti miliardari del più importante centro logistico europeo della cocaina, l’hub in cui vengono smistati i carichi in arrivo dall’America del Sud. La merce viene presa in consegna nel porto di Rotterdam o in quello di Anversa, nel vicino Belgio. A occuparsi del trasporto e della distribuzione in Europa sono organizzazioni a struttura e geometria variabile, in cui si trovano a collaborare, a volte solo per un singolo affare, mafie di diversa origine. C’è la ndrangheta calabrese, che ha propri rappresentanti anche sui luoghi di produzione con il compito di gestire il trasporto oltre Atlantico insieme ai narcos colombiani e messicani. E poi albanesi, marocchini, serbi, turchi. Non importa la nazionalità. Il mercato, e il potenziale guadagno, è così grande che c’è spazio per tutti.

«Rivalità e conflitti vengono messi da parte perché l’obiettivo comune è uno soltanto: far soldi», spiega Manolo Tersago, direttore delle squadre antidroga della polizia federale belga. Lo scenario delle alleanze tra i diversi gruppi criminali è in continuo movimento e diventa di conseguenza molto più difficile per gli investigatori ricostruire chi tira le fila dei traffici.

Secondo i calcoli di Europol, l’agenzia di coordinamento delle polizie dei paesi Ue, nel 2018 hanno preso la via dell’Europa 700 tonnellate di cocaina, la metà circa di quanto è stato piazzato negli Usa. La maggior parte della polvere bianca, circa i due terzi del totale, arriva dalla Colombia, dove la pace, cioè la fine dell’instabilità politica dovuta alla guerra civile con le Farc, ha paradossalmente dato una mano ai narcos, che ora controllano oltre 200 mila ettari di terra, cifra mai raggiunta in passato. I prezzi all’ingrosso nel Vecchio Continente sono superiori anche del doppio a quelli correnti sull’altra sponda dell’Atlantico. Questo spiega perché negli ultimi anni è aumentato il traffico verso porti come Anversa, Rotterdam e Algeciras, in Spagna.

«Qui la droga viene venduta fino a 38-40 mila euro al chilo», spiega una fonte del Citco, la divisione contro il crimine organizzato del ministero degli Interni di Madrid. Se si considera che il costo di produzione non raggiunge i mille euro al chilo e che al dettaglio le dosi vengono vendute a un prezzo di almeno 50 euro al grammo, non è difficile immaginare perché il traffico di coca sia diventato di gran lunga la principale attività di organizzazioni criminali come la ’ndrangheta, che grazie alla sua potenza di fuoco finanziaria, almeno 50 miliardi di ricavi annui, si è imposta come l’interlocutore più affidabile dei narcos sudamericani.

Nelle carte dell’Operazione Pollino, chiusa nel dicembre scorso dalla polizia italiana insieme ai colleghi di Belgio, Germania, Olanda e alla Dea statunitense, si trova un’ulteriore conferma dell’espansione globale delle cosche calabresi, capaci di creare teste di ponte stabili in America Latina e anche nei principali snodi del traffico nel cuore del Vecchio Continente. Le famiglie Pelle-Vottari, Romeo e Giorgi, tutte originarie di San Luca, erano così in grado di coordinare l’importazione di tonnellate di droga nei porti di Anversa e Rotterdam. Il baricentro degli affari delle ’ndrine si è infatti spostato verso nord. Gioia Tauro, un tempo principale approdo dei carichi di polvere bianca confezionati sull’altra sponda dell’Atlantico, ha perso peso nella mappa del narcotraffico.

«Ormai i gruppi criminali sono fluidi e ben organizzati. E l’Europa è un mercato unico, anche per la cocaina», spiega Giuseppe Cucchiara, direttore centrale dei servizi antidroga della polizia. «La ’ndrangheta», dice Cucchiara, «può quindi indifferentemente ritenere utile ricevere una partita in Belgio o a Livorno, a seconda di diversi interessi. La destinazione e l’obiettivo sono gli stessi: l’Europa». La politica delle alleanze con altre bande di trafficanti, affidata ai rappresentanti delle cosche oltreconfine, serve a gestire ogni aspetto del business, dalla consegna dei carichi al trasporto, fino alla distribuzione nelle piazze di spaccio. In un terminal delle dimensioni di quello di Anversa, dove ogni anno transitano oltre 11 milioni di container (circa 30 mila al giorno) diventa più facile aggirare i controlli e prelevare la droga nascosta tra le tonnellate di merce che arriva quotidianamente nello scalo belga. Gli interessi del business legale, che punta ad aumentare i profitti semplificando al massimo le procedure di sbarco, finiscono paradossalmente per agevolare il lavoro dei trafficanti di droga. Troppi controlli intralciano gli affari delle grandi aziende della logistica. I mercati globali vanno di fretta. Tutto va consegnato ovunque nel mondo alla massima velocità possibile. Cocaina compresa.