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politica

Movimento 5 stelle, la notte del mercimonio e il giorno dei lunghi coltelli

Fonte: huffingtonpost.it

“Qui dentro non c’è più nulla, è esploso tutto”. Un deputato del Movimento 5 stelle sospira: “Ormai fare accordi con i nostri vertici, da quelli parlamentari a quelli politici, significa non farli con nessuno”. Il Movimento 5 stelle è terra limacciosa sotto il diluvio che viene giù. Una poltiglia sbrindellata in cui chi parla per conto di chi e per fare cosa non è chiaro a nessuno e per nessuno. Il caos sul rinnovo dei presidenti delle Commissioni parlamentari è stata la classica goccia, il vaso è traboccato. “È evidente che il ruolo del ‘capo’, lo avete esercitato in maniera egregia, creando però spaccature enormi all’interno del gruppo”, ha scritto tra gli altri Leonardo Donno, che ha sbattuto la porta e lasciato il suo ruolo di capogruppo nella Bilancio.

Intorno alle 20 di ieri il capogruppo alla Camera Davide Crippa si è messo in contatto con Vito Crimi. La situazione prospettata al capo reggente del partito era drammatica: qui viene giù tutto, i nostri non votano il renziano Luigi Marattin alla guida della Finanze. Nella bolla di sospetti in cui vivono i 5 stelle è partito lo psicodramma. Qualche ora prima un gioco di antipatie, veleni e veti incrociati avevano fatto saltare la testa prima di Pietro Lorefice, designato presidente pentastellato della commissione Agricoltura del Senato, quindi di Pietro Grasso, il candidato di Leu alla guida della Giustizia. Al loro posto due leghisti. E non servirebbe aggiungere altro, se non che Marattin aveva dovuto ripiegare sulla Finanze dalla Bilancio, vero obiettivo di Italia viva, e che se fosse successo un pasticcio pure a Montecitorio ci si sarebbe avvicinati a un punto di non ritorno.

Crimi e Crippa si consultano. Poi i nuovi capi del Movimento che voleva aprire la scatoletta di tonno del Senato finiscono per pescare a strascico le loro stesse sardine, con una decisione, questa sì, senza precedenti nella storia della Repubblica: dieci deputati considerati riottosi vengono presi per le orecchie dalla commissione Finanze e forzosamente sostituiti da esponenti più docili. “Una forzatura che va contro la Costituzione”, tuona il sottosegretario all’Economia Villarosa.

L’ala sovranista che fa capo a Raphael Raduzzi e Alvise Maniero non ci sta. I 5 stelle impallinano il proprio stesso candidato alla Giustizia, Mario Perantoni. La ruota si inceppa di nuovo. Viene eletto Catiello Vitiello, ex pentastellato oggi con Iv. Raccontano di una paradossale telefonata di scuse ricevuta dai renziani proprio dal direttivo 5 stelle. Davide Tripiedi non ci sta: “Per me basta così”, ha detto a un collega subito prima di dimettersi da capogruppo della commissione Lavoro.

Crippa e Gianluca Perilli, capo dei senatori, sono sotto schiaffo. Lo è soprattutto Crimi, definito “capo di niente”. Un suo collega a Palazzo Madama ci va giù duro: “Non riesce a contare niente nemmeno al Viminale, dove è vice dell’unico ministro tecnico, figuriamoci qui dentro”.

I leghisti gongolano, e raccontano di cellulari che hanno ricominciato a squillare. I miasmi salgono su, fino a Palazzo Chigi. “Conte sta facendo promettere mari e monti a tutti – dice un onorevole – lo fa per blindarsi, ma non capisce che così magari un gruppetto lo segue, ma sfascia il Movimento. O magari lo capisce…”. Con Perilli e Crippa boccheggianti, è dovuto intervenire Federico D’Incà nella trattativa per le presidenze. Il ministro dei Rapporti con il Parlamento ha tentato di esercitare il suo garbo e la sua paziente moral suasion, con risultati altalenanti. Perché anche grazie al suo intervento l’accordo si è chiuso, per poi franare poche ore dopo. Ma soprattutto è stato il segnale di un interesse e una preoccupazione del governo in una trattativa prettamente parlamentare. E a nessuno è sfuggito che D’Incà ricopre sì il dicastero che più ha attinenza con le Camere, ma che è anche uno degli uomini vicini al premier. “Questi stanno promettendo posti di governo e sottogoverno – dice un pasdaran dei duri e puri – Guardate la Azzolina. Appena si sono diffuse le voci di rimpasto hanno mollato qualche parolina e la gente si fa i film”. Sotto accusa soprattutto Riccardo Ricciardi, vicecapogruppo con un passato vicino a Roberto Fico e oggi considerato il “capo dei contiani” in Parlamento: “Lui e Crippa sono schiacciati sul Pd, Carla Ruocco sta giocando la sua partita, siamo allo sbando”, scrive in una delle chat che spuntano come strani funghi estivi un onorevole.

Federica Dieni e Mattia Fantinati hanno promosso la convocazione di un’assemblea di gruppo. E subito è partita una raccolta firme per sfiduciare il direttivo. Oltre trenta i firmatari, ma il pallottoliere racconta di un bacino potenziale che sfiora i cento. Per cercare di evitare il peggio, è intervenuto il vertice: ok all’assemblea, ma non drammatizziamo la situazione, ne va del futuro di tutti. Il compromesso è che l’assemblea si farà, ma la prossima settimana. Martedì 4 i parlamentari si riuniranno su Zoom, si annuncia uno sfogatoio degno di una telenovela da prima serata.

Crimi e Perilli devono fronteggiare le accuse di essersi fatti infilare il Mes sotto il naso nella risoluzione di maggioranza che ha accompagnato lo scostamento di bilancio. Un pasticcio di cui gli stessi 5 stelle al governo si sono accorti quando ormai era troppo tardi per tornare indietro, una manciata di minuti prima del voto. Sergio Battelli e Emanuale Dessì hanno dato segnali di apertura sul Fondo salva stati. La maggioranza silenziosa sarebbe anche pronta a votarlo per salvare la poltrona, ma sono più di cinquanta gli onorevoli cittadini pronti a far saltare il banco.

Se collassa il principale partito di maggioranza, collassa il governo. Crimi, insieme a Paola Taverna, ha provato a rinviare più in là possibile gli Stati generali, scialuppa di salvataggio per poter ridare un senso a questa storia, dovendo alla fine cedere. Circola la data del 4 ottobre, praticamente la prima finestra utile dopo il referendum sul taglio dei parlamentari e le elezioni regionali. E’ Villarosa, non senza qualche ragione, a dire che “con un vero capo politico tutto questo non sarebbe successo”. Lorenzo Fioramonti da sinistra e Gianluigi Paragone da destra stanno lavorando a due nuove formazioni diventate improvvisamente attrattive per molti parlamentari. La kermesse autunnale è vista come ultima chiamata per ricucire il tessuto di una forza politica disgregata. “Crimi chi?”, chiede un senatore interpellato al telefono. La deputata Yana Ehm cita Brecht: “Il Comitato Centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo bisogna nominare un nuovo popolo”. Sempre che non sia troppo tardi.